Wotangar

Da Custodi Della Fiamma Di Anor.


Wotangar Warbringer
Custode
Race: Umano
Region: Rohan
Sex: Maschio
Class: Guardian-icon.png - Guardian
Vocation: Armsman


12px-Quote rosso1.png Ma evidentemente non ci conosci abbastanza per sapere che finchè scorre sangue nelle nostre vene, le nostre famiglie sono al sicuro. Terribile e funesto il tuono d'acciaio che si schianterà sui loro corpi, lasciandoli in pezzi ai corvi, se dovessero muovere contro i nostri cari. 12px-Quote rosso2.png

~ Wotangar sui Rohirrim

Wotangar Warbringer, figlio di Wotanhelm, nobile degli Eorlingas, guardiano della Corona di Edoras.
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Ciò che fu, ciò che è

Un surreale silenzio avvolge la radura dove Wotangar e la sua Eored sono appostati.
A quanto pare, non molto distante da lì, alcune sezioni di fanteria sono rimaste insaccate da un'armata di Uruk proveniente da Isengard.
Il mattino è piacevolmente fresco, soprattutto se si è coperti da una pesante armatura di piastre, il cielo, pare sereno, pochi raggi filtrano la foschia mattutina, andando a illuminare gli scudi, così ben rifiniti da parere quadri.
I cavalli sono tranquilli, ma fastidiati dal puzzo dei nemici che si leva nell'aria, ammorbando la piana, scossa dal furore della battaglia.
"Uomini! In formazione!"
Il comandante inizia ad impartire gli ordini. Il momento è vicino. Non è la prima volta e non sarà l'ultima...non deve essere l'ultima.
"Il nemico, vuole le nostre terre! Le nostre magnifiche terre! E' venuto fino a qui per prendersele con la forza! Ma finchè ci sarà un solo uomo del Mark, vivo, questo non avverrà!"
Una breve pausa segue.
"Che l'acciaio ed il coraggio, siano le vostre difese! Che i cavalli e l'onore, la vostra forza! Avanti ora, trasformiamo il campo in uno scannatoio!"
I cavalieri battono le armi sugli scudi: hanno perfettamente capito il messaggio.
"Serrate i ranghi! Andiamo in guerra!"
Il corno tuona la carica, centinaia e centinaia di cavalli iniziano a correre, i cavalieri in corsa urlano, sbraitano, agitano al cielo le armi.
La terra trema, vibra furiosamente, gli Uruk, intenti a combattere, vengono colti di sorpresa, si voltano attoniti: la situazione sfugge loro di mano.
"Manovra!"
All'ordine, l'ala si flette, si duplica...adesso o mai più!
L'impatto è terrificante: il nemico viene sbalzato morente a terra, alcuni cavalli cadono, rotolano, vengono uccisi dagli orchi.
La mischia è un tripudio di carne, acciaio e sangue.
Wotangar, ben saldo in sella al suo cavallo, Sleipnir, lancia fendenti di spada come se la sorte stessa di Edoras dipendesse da lui, fino a che, colpendo un orco, quest'ultima gli rimane, come incastrata nel cranio del nemico, e nel tentativo di riprenderla, viene disarcionato violentemente.
Rialzatosi frettolosamente, crolla di nuovo a terra, con un gemito: un uruk gli si è avventato contro nel tentivo di strangolarlo; il nostro, irrigidisce il collo, e ringraziando i suoi avi per avergli donato una forza notevole, afferra con una mano la mandibola del mostro, e con l'altra, parte della testa...tira, con tutta la potenza che ha in corpo...la pressione sul suo collo si allenta rapidamente: ha divelto la mascella del suo aggressore, il quale muore, tra rantolii e convulsioni.
Celere, Wotangar raccoglie una picca dal terreno, e recisa la testa dal cadavere, la infilza, alzandola al cielo come un macabro stendardo.
I soldati di Rohan, incitati da quella visione, aumentano il ritmo della battaglia, fino a che il combattimento non diviene una bolgia esasperata.
Gli uruk cadono, falciati, come spighe di grano mature; sono infine costretti a chiamare la ritirata, decimati e stremati.
"Prendeteli tutti! Uccideteli!"
Ordina il comandante.
"No! Fermi!"
Tra lo stupore generale, che causa un tentennamento dei soldati, Wotangar si oppone.
"Se li inseguiamo, finiremo direttamente in bocca alla loro retroguardia! Non possiamo correre un simile rischio! Non ora che abbiamo salvato i nostri compagni!"
"Come osi contraddire un mio comando!? Vigliacco traditore!"
Tuona infervorato il comandante.
A quelle parole, il nostro, perde il controllo di sè stesso, sferrando un destro, più simile ad un colpo di trabucco che ad un pugno, al suo superiore, e fancedolo crollare al suolo. Che gesto sconsiderato!
Fortunatamente viene riconosciuta la buona fede delle sue parole, ma l'insubordinazione viene punita: mesi e mesi nelle prigioni, e il divieto più assoluto di un suo ritorno nell'esercito del Mark.
Che fare dunque? La risposta è una sola.
Sacca in spalla, un triste arrivederci alla sua terra, la promessa, la dannata promessa che un giorno farà ritorno da eroe.
Sleipnir è sellato e ferrato, i due si allontanano, nel calare del sole.

Bosco Atro, al mutar della vita

Galoppava, Wotangar, in direzione di Dol Guldur, dove sapeva avere compagni in attesa del suo arrivo, quand'ecco dalla strada maestra scorse alla destra, nella boscaglia triste e piangente, un grosso orco, probabilmente un Uruk, inseguire un Uomo o forse un Elfo vestito con abiti da battaglia.

Wotangar durante l'assalto a Barad Guldur

"Oi!" Fermò il nobile cavallo "Andiamo Sleipnir, ci sarà da divertirsi" Sussurrò sorridendo al cavallo. L'animale si voltò in direzione dell'Uruk, scattando come un lampo. Wotangar estrasse il corno, avrebbe di sicuro fatto tentennare il nemico dando vantaggio all'inseguito...il suono, basso e cupo, vece vibrare il torace del Rohir, quella sensazione stupenda, che da molto tempo non provava, gli regalava ancora emozione. L'Uruk si fermò voltandosi, ma immediatamente riprese l'inseguimento o forse la fuga, fatto sta che ben poco rimaneva da vivere a lui...Wotangar gli fu addosso in un baleno, e vibrato il colpo mortale in pieno cranio, lo uccise come ogni cane di Mordor merita.

L'inseguito si accasciò a terra, non ferito ma stremato, al che Wotangar scese da cavallo per accertarsene; gli tolse l'elmo, e meraviglia, un'elfa del Bosco Atro si destava innanzi a lui. Incantato per un attimo dalla bellezza divina della creatura, e dai suoi lunghi capelli biondi, troppo a lungo nascosti sotto un'elmo, Wotangar si riprese, sapendo proferire solo alcune parole: "Un'elfa...che popolo vigliacco...mandare le proprie donne in battaglia...vergognoso" La ragazza non sentì, o fece finta di non sentire, e destatasi del tutto, scrutò i verdi occhi del Rohir, palpandone l'anima, e parlò: "Per voi ho solo parole di ringraziamento e d'elogio, messer..." Il cavaliere si sentì ispezionato in luoghi ove non poteva nascondersi, e per fuggire il disagio di un terzo grado, interloquì repentino e spavaldo, come soleva essere. "Wotangar, figlio di Wotanhelm, nobile degli Eorlingas, discendenti della Casa di Hador...ma ora salite a cavallo, mia signora, la scorterò personalmente ad Ost Galadh, dove potrà riposare quanto merita"

Sleipnir cavalcava dolcemente, per non strattonare la stanca ragazza, che riprese parola dopo attimi di silenzio. "Non è comune vedere un fiero figlio di Eorl cavalcare in codesti luoghi...è dunque la guerra a spingervi sino a qui, messere Wotangar?" Ella conosceva già la risposta, ma il Rohir mentì spudoratamente, la sua dignità non avrebbe potuto tollerare la confessione d'esser stato cacciato dall'esercito. "Ebbene sì, mia signora, non le nascondo che preferirei combattere in Patria, ma qui sono stato inviato e ove v'è necessità il mio braccio freme" L'elfa sorrise dolcemente, come a perdonare la menzogna; fin troppo bene conosceva la genti di colui che fu Eorl il Giovane, e ben sapeva che l'orgoglio scorre come fiume in piena nelle loro vene, così come l'ardore in battaglia e la bontà d'animo ne pervadono il corpo. "La verità è figlia del tempo, nobile signore dei cavalli" Soggiunse lei, non in tono accusatorio, ma più come un consiglio, da chi di inverni ne ha visti molti. Il fuoco ardente nel corpo di Wotangar tradì nuovamente la realtà. "Che nasca e viva prospera, allora" Concluse spavaldo il nostro, troncando il discorso.

I due entravano nell'accampamento di Ost Galadh, più frenetico che mai...

Elfi lucenti con archi, passeggiavano lungo le balconate superiori dell'antica struttura in pietra, a terra, i fanti si preparavano, affilando lame, facendo scorte di vettovaglie e quant'altro fosse necessario per battagliare. Al centro dell'insediamento, un gruppo di elfi, i comandanti probabilmente, studiavano su alcune carte, dibattendo fra loro, e appena li scorse, la ragazza smontò da cavallo e corse in loro direzione. Wotangar si portò con l'animale davanti al gruppetto e scese per aggiornarsi sulla situazione...si può dire che gli affarsi suoi non gli fossero di diletto. L'elfa parlò nella sua lingua natia ai compagni, e il nostro, infastidito, tossì per attirare l'attenzione su di lui.

"Bene, non fosse il vostro aspetto inequivocabile, stenterei a credere che uno dei Rohirrim è giunto qui oggi" Interloquì uno dei presenti. "Allora non stentate, accettatelo, come io accetto la mancanza di cordialità che mi si palesa in fronte" Rispose Wotangar stizzito. "Ebbene la cordialità nei vostri confronti scarseggia, purtroppo, ma non senza motivo. Le leggende sul nostro conto, che vagano di bocca in bocca nel vostro Paese, non sono delle migliori, nevvero?" Chiese severo l'elfo. Wotangar sospirò, gli elfi lo infastidivano, lo mettevano a disagio, nel loro portamento e nella loro presenza; attese un poco e rispose, rassettandosi la corazza. "La nostra cultura è molto altruista, come ben sapete, chi abbisogna per giusti motivi della nostra carne in guerra, mai è rimasto a bocca asciutta...voi altri invece, non dimostrate di essere corretti...Gondor combatte solo contro l'Oriente...il nostro paese è in rovina, causa un re corrotto da Saruman...una guerra si profila innanzi agli Uomini di Rohan e di Gondor...ed in tutto questo voi siete immobili" Il cavaliere fece una pausa, scrutando gli occhi degli elfi che lo attorniavano. Quest'ultimi non tradivano emozioni, e questo irritò ulteriormente il nostro, che, farfugliando parole rabbiose nella sua lingua, si avviò a rimontare in sella.

L'elfa, bisibigliò qualcosa al superiore, e questi, quasi controvoglia, parlò all'Uomo: "Fermo, Rohir!" Scandito e pensato come un ordine, contribuì ad ammontare ira nel nostro. "La saggezza si guadagna negli anni, e gli anni vanno vissuti per guadagnarla, ma tu, non ne hai vissuti abbastanza. La tua irruenza ti porta sulla cattiva strada, vedi infatti nemici dove non vi sono, e pecchi di superbia nei nostri confronti" Aulico, potente, deciso, l'elfo richiamò l'attenzione di Wotangar, che si fermò per udirlo parlare. "Le male voci su di noi, se basate sui pensieri che hai esposto, sono alquanto giustificabili, ma altrettanto ingiustificabile è l'ignoranza che porta a credere che noi altri viviamo nell'idillio. Come vedi gli orchi vagano liberi nelle nostre terre, e la minaccia di Dol Guldur ogni giorno è più pressante. Da dove credi potremmo tirar fuori armate per venirvi in soccorso?"

La realtà è che aveva ragione, e Wotangar se ne rese conto, per la seconda volta in vita sua, provò vergogna; ma fulmineo nell'orgoglio quanto la carica che si schianta sul nemico, e fiero come il micidiale pugno di Helm che stroncò la vita a Freca, rispose:

"Ebbene, le alleanze si basano sulla collaborazione, e voglio essere io il primo a muovermi verso questo scopo. Vedo le truppe intente a prepararsi, e dove vi porta la spada, metterò il mio scudo a vostra disposizione" Così parlò Wotangar figlio di Wotanhelm, Rohir d'onore, chinando il capo, ed inginocchiandosi per la prima volta a persona che non fosse Theoden. "Questo tuo pegno, mai verrà scordato e bensì verrà ripagato. Questo è il mio volere" Lo benedì l'elfico comandante. "Il Nemico è in procinto di assediare Thangulhad, nostro ultimo e più orientale bastione; la sua difesa è strategicamente di importanza estrema, è la nostra unica testa di ponte nell'oriente, ed una sua perdita significherebbe non avere più fortezze ben difendibili, e quindi il dilagare del Nemico sino a Lorien. Più che mai ora, dobbiamo avere il massimo delle forze disponibili, e la tua venuta appare più una benedizione che una coincidenza" Disse l'elfo, non più severo e autoritario, ma col calore che si mostra verso coloro che riteniamo cari.

Wotangar annuì, chiese congedo per mettere qualche vivanda nella sacca. I preparativi furono pressochè terminati. La cavalcata per Thangulhad aveva così inizio...

Veloci come il vento, la colonna di cavalli e fanti giunse in un baleno a Thangulhad, ove l'ultima difesa sarebbe stata spiegata ad attendere il Nemico, che tracotante e senza timori, marciava con altrettanta rapidità verso la battaglia.

Le mura del bastione non erano molto alte, ma ben solide, e potenti mezzi d'assedio convertiti a difesa risiedevano su di esse: squadre di elfi pattugliavano il perimetro, altri furon posizionate sulle mura con archi, ma la maggior parte, era a terra ad attendere l'assalto. Wotangar venne messo con una compagnia al cancello sud, il più debole, e dove con ogni probabilità il Nemico avrebbe sferrato la martellata più possente. Le pattuglie rientrarono repentine, e a quanto dissero, l'esercito nemico era ormai a pochi minuti dalla fortezza; subito e senza ordini, i soldati presero posizione. Il nostro si aspettava per lo meno un discorso di incoraggiamento, come si suol fare a Rohan, ma nessuno aprì bocca. Vi era serenità nell'aria, l'unico ad accumulare tensione era Wotangar, poichè la natura umana glielo impose come tributo dei suoi natali; gli elfi intorno a lui respiravano lentamente, nel loro sguardo non v'era preoccupazione nè tantomeno paura...nel silenzio e nella tranquillità erano nati, e nelle stesse condizioni sarebbero morti, se il fato lo avesse preteso. Mentre questi pensieri affollavano la mente del nostro, le schiere nemiche si mostrarono innanzi al bastione e si disposero come meglio poterono, aizzate dalla frusta e dagli insulti dei loro comandanti. Erano molti, forse troppi, e quando trovarono le giuste posizioni, dai loro quadrati si alzarono crude voci, che schernivano gli elfi ed i loro padri, minacciavano violentemente, emettevano grugniti carichi d'odio. Uruk, nella loro fierezza e nella loro brutalità.

Pochi, concisi, ordini in elfico volarono, i mezzi di difesa, iniziarono il loro lavoro: proiettili incendiati solcarono l'aria andando a colpire le divisioni nemiche, gli archi scoccarono, molti nemici caddero, ma le loro fila non si scomposero. "Non è la prima volta e non sarà l'ultima...non deve essere l'ultima" Wotangar se lo ripetè, come sempre, prima d'ogni battaglia.

D'un tratto, lo schieramento nemico si aprì: ne uscì un enorme Troll, lanciato in carica contro il cancello sud, nessuna freccia lo scalfì, nessun dardo delle macchine fu scagliato in tempo; impattò contro il ferro dell'entrata, sventrandolo, ma da sopra le mura, gli elfi lo colpirono in capo con una moltitudine di frecce, abbattendolo istantaneamente. Le schiere nemiche si mobilitarono, gettandosi all'entrata sud, unico punto di ingresso disponibile. Gli elfi presero formazione da battaglia, silenti, senza tradire emozioni. Wotangar sentì il sague che lo irrorava come pura energia pronta ad esplodere. "Combatti, muori se necessario, per ciò che credi, fino all'ultima goccia di vita, combatti, combatti!" Le parole del padre si ripeterono nella sua mente.

Wotangar si levò, estrasse il corno, unico ricordo della sua terra, trasse un profondo respiro, e quando i polmoni furoni empiti d'aria, soffiò con quanta potenza aveva. Rimbombò nella valle, come un nuovo esercito che si unisce alla battaglia, terribile e violento, Rohan tutta si levava nell'aere di Bosco Atro, maestosa ed inarrestabile.

Gli elfi non solevano suonare corni prima di battagliare, dunque gli orchi sussultarono chiedendosi da dove provenisse quel suono, ma immediato lo schioccare della frusta li riportò a caricare, come un onda nera contro le rive. Penetrarono nella fortezza, era dunque il momento giunto.

La difesa subì l'impatto della carica e molti di ambo le schiere caddero rovinosamente; gli elfi imperturbabili, combatterono con la loro ordinata e precisa tenacia, ma Wotangar non ne era in grado, o non era stato abituato a combattere in quel modo, così fece ciò che sapeva, ed i suoi fendenti stroncarono molti nemici, incassandone i colpi con il possente scudo. Spavaldo e fiero si ergeva nella mischia, come una statua dei tempi che furono, nessuno riusciva a trafiggerlo, ma diversamente da lui molti elfi dovettero soccombere, immediatemente rimpiazzati da truppe fresche: la bolgia sembrava non avere termine. Una freccia dalle retrovie nemiche venne scoccata, andandosi a conficcare nella spalla destra del nostro, che gemette, fermandosi per alcuni istanti. Trasse un respiro, contenendo il dolore acuto, ma subito un nuovo dardo lo colpì nel medesimo punto: la spada gli cadde dalla mano destra, si accasciò al suolo, senza emettere suono alcuno. Gli elfi formarono un cerchio intorno al nostro, coprendolo come meglio potevano, quand'ecco che per un istante, i rumori e le visioni dell battaglia scomparvero nella mente di Wotangar; egli vide altro, ai confini del tempo, o credette di vedere, o più semplicemente fu un'allucinazione indotta dalla grave ferita, sta di fatto che si trovò sui Campi del Celebrant anni ed anni addietro: vide la carica di Eorl, ne sentì l'energia, l'orgoglio e la furente rabbia pervadergli l'animo, se lì sarebbe stata la sua fine, l'avrebbe accettata con gioia.

Si destò, prese coraggio, tanto da traboccarne, afferrò i due dardi conficcati nel suo corpo e li estrasse, rinnovando il forte dolore che già provava. Un possente urlo scosse la battaglia, un urlo di dolore intriso di odio, Wotangar gettò a terra lo scudo, la fiamma di Anor ardeva nel suo cuore più forte che mai ed il fato degli Uomini lo accompagnava, raccolse la spada, e facendosi strada tra gli elfi che lo proteggevano, fece tuonare ancora una volta il corno, come fosse quello suonato prima dell'uscita di Helm Mandimartello dalle mura del Trombatorrione, si gettava nuovamente alla carica, senza remore o timori, mentre gli elfi accanto a lui combattevano come se la sorte stessa di Valinor fosse dipesa dalla loro vittoria. Così, schiacciando il Nemico sotto una nauseante pressione dovuta al contrattacco, andava incontro alla sua fine Wotangar figlio di Wotanhelm, Rohir d'onore.

Fianco a fianco delle truppe elfiche, il nostro avanzò passo dopo passo, sventrando e fracassando, subendo innumerevoli colpi, quand'ecco che terminò le energie tutte ed il dolore prese il sopravvento: mentre gli elfi, impassibili e degni d'ogni onore cacciavano il Nemico fuori dalle mura, Wotangar crollò a terra, svanendo negli orrori della battaglia...

Valorosi lucenti cavalieri ed orgogliosi neri Uruk si affrontavano nella piana devastata dalla morte, l'incubo più scuro che Wotangar avesse mai affrontato, le due entità si combattevano, si stritolavano a vicenda, colpi micidiali venivano lanciati, brucianti fendendenti strappavano e stroncavano. Terrore, sconforto, accettazione.

Ecco che una delle due prevalse, e osò parlare, nella sua maestosa severità: "No! Ancora forgerai il tuo polso nella gioia del massacro! Ancora rinfrancherai il tuo animo nella brutalità della carneficina! Troppo poca è la gloria della morte in questo posto. Tanto hai aiutato nei tuoi viaggi, che un favore ti vien dunque concesso! Gesta che ti consegneranno ciò per cui partisti: la gloria nei tempi. Ardua è la prova, crudele la carne, ma la distruzione che porterai sul Nemico non avrà pari. Svegliati, serra i pugni, sorgi dallo sterminio. Questo è il mio verbo. Che la volontà di..."

Wotangar aprì gli occhi, sfinito, pareva avesse combattuto giorni e giorni senza mai fermarsi; sapore di sangue in bocca, dolore talmente insopportabile da non averne più sentore, e aria, aveva bisogno d'aria! Si potè ergere dalla catasta di morti sotto sui stava affogando...v'era silenzio. La brezza del mattino gli sferzò il viso come decine di fruste, il sudore raffreddandosi, lo avvolse con freddo pungente; raccolse la spada, la alzò al cielo, e crollò nuovamente.

Molti soli sorsero prima del risveglio di Wotangar, su di una lettiga appartata in un pertugio ad Ost Galadh, ma la prima cosa che vide, lo ripagò delle pene subite: biondi capelli come il fieno delle messi, l'elfa che egli conobbe quel giorno, inseguita dall'orco, vegliava su di lui. Per nove lunghi giorni ella ne aveva assistito il sonno, a suo dire, molto disturbato e sofferente, più volte aveva udito la limpida voce del Rohir, ferma e coerente, chiamare il nome di Oromë, e se ne era stupita; ma di tutto ciò, con egli non ne fece mai parola, non aveva di fatti intenzione di gettare secca legna su d'un fuoco che già avvampa.

Wotangar la fissò, sollevato, il conforto lo placò, sorrise come meglio poteva, e con un filo di voce chiese: "Rivelami dunque il tuo nome, ora che posso ascoltare" La tenerezza con cui parlò, totalmente indifeso, e senza lo scudo d'orgoglio che lo proteggeva, addolcì il cuore della ragazza, che lo guardò negli occhi, riuscendo a scorgere tutto ciò che essi contenevano nel loro infinito verde; fiumi di parole giunsero con quello sguardo al cavaliere, un tale caos che egli, ferito e stanco, non riusciva ad ordinare, ma da cui estrapolò le informazioni per cui aveva posto domanda. "Rodelleth, elfica dama in cotta di maglia" Sussurrò sognante il nostro, felice, libero, forte ma crollato. Ella gli pose delicatamente una mano sul petto, ricambiando il sorriso.

L'ombra nera tornò su Wotangar, stritolandolo...egli non vide più nulla...

Una convulsione lo riportò sulla pianura, dove seppur una schiera fosse predominante, la battaglia non aveva trovato termine. Mentre questa continuava, nessuno parlava od urlava, gli unici rumori eran quelli dell'acciaio che crudele e spietato, s'abbatte contro sè stesso e talvolta lacera le carni, ma nessuno osava gridare di dolore, la calma sembrava bilanciarsi con la furia. Wotangar, nell'osservare, vide un bambino, che a mala pena riusciva ad ergersi in piedi, ai bordi della battaglia; quella visione lo sconcertò, continuava infatti a struggersi ed a piangere per l'impotenza che lo costringeva e per l'impossibilità di difenderlo, era solo un osservatore, nulla poteva. Pianse, pianse a dirotto, serrò i pugni, ma non poteva muoversi, quando ad un tratto un orco intento a battagliare, notò il bimbo e gli corse incontro con chiari intenti assassini. Wotangar si sentì morire dentro, urlò con quanto fiato aveva, maledisse Melkor e tutte le sue terribili trasformazioni, giurò vendetta, ma tutto ciò a nulla servì...l'orco correva imperturbabile verso il piccolo Uomo. Il nostro, disperato, si parò gli occhi con le mani, non avrebbe avuto le forze di vedere ciò che stava per accadere.

Strinse le palpebre fino a sentirne il dolore, ma le lacrime solcavano copiose il suo volto, il bambino nel frattempo, accortosi del pericolo che stava per assalirlo, non fuggì, si accasciò al suolo e pianse dal terrore. Wotangar aprì gli occhi, immaginando la scena che gli si sarebbe parata in fronte, ma la sua supposizione venne felicemente smentita: un fiero cavaliere, montante un bianco destriero dai dorati zoccoli, si frappose tra il bimbo e l'orco, e nella sua eroica magnificenza, caricò il Nemico, decapitandolo. In seguito, smontò da cavallo, andò accanto al piccolo Uomo e lo strinse al suo petto; questi ancora terrorizzato continuò nel pianto, stretto nell'abbraccio, mentre il cavaliere lo carezzava sul capo sussurrandogli parole di conforto. Con flebile voce il bambino parlò, nella sincerità che solo un cuore puro può esprimere: "Grazie, eroe"

Il pianto di Wotangar si ronnovò nella gioia e nella commozione. La battaglia finì, i lucenti cavalieri, distruggendo le ultime forme di resistenza, gioirono della vittoria e suonarono i corni a festa. Wotangar cercò di vedere il volto del nobile cavaliere, ma non vi riuscì, poichè questi, volto di schiena, caricò il bambino sulle larghe spalle e lo mise sul cavallo, risalendovi repentino.

Stremato dalle emozioni che lo avevano sconvolto, il nostro, venne colto dal sonno più irresistibile, e cadde addormentato, mentre l'aurora benediva le corazze dei trionfanti...

Altri otto soli tramontarono prima che Wotangar si destasse, ed al sorgere del nono, egli si sentì pronto a rimettersi in piedi. Tolse le garze che ricoprivano gran parte del corpo, nessuna ferita pareva gli desse ancora noia, quindi si rivestì, indossando la pesante corazza, che, causa l'intorpidimento dei muscoli, sembrava una macigno sulle spalle. Mangiò molto, e quando fu del tutto in forze, si presentò al cospetto dei comandanti, ed ivi trovò la bella Rodelleth ad attenderlo; i loro sguardi nuovamente s'incontrarono, egli avrebbe voluto parlarle, dirle ciò che dal suo cuore sgorgava, ma un cappio gli attanagliò la gola: pensò alla sua famiglia, che l'avrebbe voluto al fianco d'una fiera femmina del Mark, e si rese conto, che per quanto fosse una persona meritevole e leale, nessuna delle sue qualità avrebbe colmato il vuoto che lo distanziava da ella, dai suoi natali, dalla sua stirpe, dalla magnificenza dell'elfico sangue che scorreva entro lei. Si sentì piccolo, infimo, la sua vanagloria sparì, l'orgoglio si piegò innanzi alla realtà, mai l'avrebbe ammesso, ma in cuor suo, l'aveva accettato. Egli non parlò, si ritrasse dal fugace sguardo ed ella ne rimase rammaricata, senza sapersi dare una risposta.

Fu però l'elfo di potere a rompere il silenzio: "Ebbene, ora che pari ristabilito, molte sono le cose che ho da dirti. Doppiamente ti siamo debitori e doppiamente ti rigraziamo, hai tenuto fede alla parola data ed hai dimostrato quale sangue il tuo popolo possiede. Qui, verrai trattato come uno di noi, poichè come uno di noi in battaglia hai rischiato la vita, per una terra non tua, senza alcun obbligo di parte. Per te ora c'è il nostro rispetto, ed un invito, quello di rimanere, di combattere al nostro fianco, se il tuo animo sarà propenso." Wotangar tentennò, guardò ancora Rodelleth, benchè i suoi occhi fossero altrove, e rispose, un poco sconsolato: "Dubito che qualcuno ricorderà nei tempi a venire come il sangue dei Rohirrim bagnò questo suolo, ma il rispetto che mi promettete, è ricambiato e mai verrà scordato. Ma per me, ora c'è altro...ritorno dunque nell'Eriador, ove Angmar ancora è potente e pochi sono i Dunedain che ancora vi si oppongono, necessitano di aiuti, e per quanto mi sia possibile glieli porterò." Come se già avesse conosciuto la risposta, l'elfo parlò, un'ultima volta: "Nè è in mio potere trattenerti e neppure è mia intenzione, ma ricorda che qua avrai solo alleati e sempre sarai ben accetto. Ed ora va, Wotangar figlio di Wotanhelm, nobile degli Eorlingas" Il Rohir, chinò il capo, si voltò e lasciò la piazza, ma Rodelleth non la salutò...perchè farsi ancora del male? Non trovò risposta.

Alle stalle trovò Sleipnir, in splendida forma, infatti nessuno mai l'aveva così ben curato in assenza del padrone; lo carezzò sul collo, gli sussurò parole nella lingua di Rohan e l'animale nitrì fiero, due amici dunque si ritrovarono. Uscì galoppando in fretta dall'accampamento, verso ovest, lunga era la strada, tutta Lothlorien e tutta Moria avrebbe duvuto ripercorrere, ma in fin dei conti, non gli sarebbe dispiaciuto rivivere il fiume di ricordi legati a quelle località.

Poche miglia passarono, quand'ecco che la sua marcia subì una pausa. "Donde fuggi, cavaliere del Mark?" Una voce risuonò alle spalle di Wotangar, che nel mentre si voltò, allarmato. Un particolare figuro gli si parò in fronte: vestito come un cacciatore, aveva il viso infaggottato in una maschera di seta, da cui solo gli occhi si potevano scorgere, in tutta la loro possenza e severità, ma la sua voce era limpida, per nulla attutita dai tessuti, inoltre montava un bianco cavallo, alla cui visione Sleipnir piegò in capo, in segno di rispetto. Ma a tutto ciò Wotangar non prestò attenzione, era perso nel porsi domande; finalmente arrivò la risposta: "Io non fuggo, bensì cavalco libero, verso mete che non intendo condividere con sconosciuti impiccioni" A queste parole lo sconosciuto cambiò tono, facendosi più veemente ed incalzante: "No! Tu fuggi da genti che ti necessitano, e cavalchi presso una strada che non ti appartiene. Non cercare di mentirmi, Wotangar" Il nostro rimase paralizzato, non sapendo che rispondere. "Non nascesti per trionfare nell'Eriador, non ricevesti aiuto quando il tuo bisogno fu troppo, per combattere ad Angmar, dove altri porteranno la libertà. Ora è il momento in cui il fato chiede il suo tributo, e ad Oriente tu lo pagherai, con la gloria o con la disfatta. Rimembra la gioia della battaglia, poichè questa sarà la tua più grande sicurezza, e non lasciare che il tuo cuore fugga di fronte alla sfida. Crudele è la carne ma possente è lo spirito che la regge!" Lo sconosciuto, puntò fuori dal sentiero e partì come un turbine, ma in quell'istante Wotangar notò ciò che gli era sfuggito per lo stupore: gli zoccoli dorati del cavallo. "Tu! Fermo!" Gridò, lanciandosi all'inseguimento. Tra i boschi per lungo tempo lo incalzò, fino a che lo raggiunse e nella velocità della corsa, Wotangar gli rivolse nuovamente la parola: "Fermati! E rispondi alle mie domande, troppe sono e troppo poco è il tempo!" Il viandante lo guardò e continuando a correre gli rispose: "Serra i pugni, sorgi dallo sterminio! Altrove il tuo corno dovrà tuonare!" Ed in un violento fascio di luce, scomparì.

Wotangar si fermò, esausto e spiazzato; smontò da cavallo ed accese la pipa, mai come ora doveva riflettere...

"Sleipnir, credo di essere sull'orlo della follia...ciò che ho visto e sentito, oltrepassa qualunque fervida immaginazione" Wotangar prese una grossa boccata di erba pipa, e la espirò lentamente. "Partito per gloria e libertà, capisaldi dei miei viaggi, ora mi ritrovo a dover scegliere tra l'una o l'altra, indotto da folli incubi ed improbabili incontri...perchè io? Perchè non altri? Se raccontassi tutto ciò, verrei preso per pazzo ed allontanato dalle città. Per fortuna che anche tu hai visto e sentito, altrimenti mi lasceresti da solo e fuggiresti da me, avendone ben donde!" Si mise il capo fra le mani, come per placare l'assalto dei dubbi. "Non è mia intenzione rimanere, o meglio, lo sarebbe anche, ma non con ciò che porto dentro di me...ma d'altro canto se ciò non avesse importanza, Lui non sarebbe mai giunto a rivolgermi la parola" Sbuffò, infelice.

Ad un tratto una freccia gli sfiorò il capo. "Lurido idiota! Quando avremo finito ti sgozzerò di persona!" Barbare voci strillarono a poca distanza da Wotangar. Egli, subito s'accovacciò. "Va! Va! E non temere" Disse dando una pacca a Sleipnir, e questi partì celere come il vento. Wotangar estrasse la spada, si tolse lo scudo dalla schiena e lo imbracciò, infine si nascose agile dietro ad un albero accanto a lui. "Muovetevi vermi! Andiamo a prendere la testa dell'Uomo!" Le voci erano in rapido avvicinamento. Diede rapido uno sguardo fuori dal nascondiglio, contò tre orchi: un arciere e due fanti, e quest'ultimi, sapendo dove si era riparato, lo accerchiarono, prendendo ciascuno un lato.

Mentre attendeva la mossa degli avversari, il nostro, finalmente realizzò: "Qui devo rimanere, ad aiutare questa gente! Le loro terre sono completamente infestate da queste sporche carogne, ed è mio dovere aiutarli a ripulire. Fui io stesso a precludermi la libertà, causa la paura di una sfida dall'esito incerto, ma ciò non continuerà oltre!" E mentre concludeva chiaro questo pensiero, i due Uruk più grossi lo attaccarono da ambo l lati, quasi simultaneamente; limpida e chiara la mente di Wotangar fu dunque, potè dedicarsi a ciò che meglio gli riusciva. Con lo scudo bloccò il colpo giuntogli da sinistra e con la spada quello da destra, i suoi occhi brillarono d'una ardente scintilla. "Fermatemi, se potete" Sibilò crudele. Gli avversari rimasero per un istante spiazzati dalla reazione difensiva, e Wotangar sfruttò questa defaillance al meglio: schiantò brutalmente il pesante scudo sul grungo di uno degli orchi, fracassandogli il cranio, e questi crollò morto a terra, ma il compagno non ebbe la stessa fortuna. Quest'ultimo schivò abilmente un'infilzo del Rohir, e gli si avventò contro cercando di colpire con la pesante ascia, ma fallì nel tentativo, e Wotangar, preso l'orco a mezz'aria, lo passò da parte a parte con la lama; non estrasse però la spada, bensì iniziò a squartarlo lentamente. "Come ti sembra, putrido cane? La senti vero? Muori adesso, guardando in faccia il tuo carnefice" Queste furono le parole che Wotangar sussurrò all'orco, ed egli, tra mortifere convulsioni, spirò.

Wotangar, sapendo ancora l'arciere vivo, stette attento ad ogni minimo fruscio, ma nulla riuscì ad udire, così, protetto dallo scudo, uscì dal nascondiglio ed inaspettatamente si trovò ai piedi il cadavere dell'orco più piccolo, recante una profonda ferita alla schiena.

Sbalordito ed incredulo, non ebbe voglia di porsi altre domande. Veloce, richiamò Sleipnir, che giunse nitrendo, e saltatogli in groppa, prese la strada del ritorno ad Ost Galadh, galoppando di gran carriera...

Nottetempo cavalcò, sicuro di sè, chiaro il suo compito, neppure la morte l'avrebbe strappato da esso. Entrò in trionfo ad Ost Galadh, accolto come l'amico ritornato, ma per nessuno che non fosse Rodelleth, egli ebbe occhi. La cercò per tutto l'accampamento, come se il tempo fosse nemico, ed infine la trovò, nel pertugio in cui ella lo curò dai postumi della battaglia. Rodelleth levò su di lui lo sguardo, scintillante, dalla corazza venne abbagliata, Wotangar innanzi a lei si pose, alto, fiero, possente come il primo degli Edain, da invisibile manto di gloria ricoperto, colui che in difesa degli elfi aveva levato il braccio. "Mia signora, giungo per spegnere il fuoco che da giorni arde entro me. L'amore per voi qui mi incatena, e la paura per esso, fu causa della fuga, che per la prima volta durante la mia esistenza, adoperai come espediente." Per la seconda volta, Wotangar si inginocchiò di fronte ad alcuno che non fosse Theoden. "Mia elfica dama in cotta di maglia, giungo dunque a reclamare il vostro più puro sentimento, e sebbene io non ne abbia le nobili qualifiche, chiedo la vostra mano"

Rodelleth ristette, temeva di fatti ciò che stava avvenendo, recondita paura dal primo incontro col Rohir, ma prima che ella potesse parlare, Wotangar le si accostò e la baciò con quanto vigore aveva. La dama non si ritrasse dal gesto, ma chiuse gli occhi, e visse il pieno di quel momento, ove nuovamente un Uomo, cedeva di fronte alla grazie dei Figli Maggiori. Wotangar scordò i suoi natali, i suo legami, e con lo stesso coraggio che in battaglia lo guidava, commise quell'atto, che a lungo lo avrebbe accompagnato in ogni suo passo ed in ogni suo gesto.

Ma come tutte le cose che nella Terra di Mezzo paion belle, anche quella ebbe una fine. Le labbra di entrambi si allontanarono, e Wotangar tacque, nell'orgoglio del cavaliere che sa di aver fatto il giusto. Rodelleth dunque parlò, e inconsapevolmente disse parole cui Wotangar avrebbe preferito torture ed umiliazioni mossegli da Morgoth in persona. "Di grande nobiltà il sangue che scorre nelle tue vene, gloriose le membra che ti sorregono e sincero l'animo che le guida. Non è la prima volta che ciò accade nella storia dei Figli di Iluvatar, e non sarà l'ultima. Mai però accadde che il sangue degli Eorlingas si mischiasse con l'uno elfico, e nutro dubbi a questo riguardo e alle possibiltà che esso possa realizzarsi" Ma Wotangar, mosso dalla potenza del suo sentimento, la guardò e fulmini scossero i suoi verdi occhi. "Accadde però che la stirpe degli Eldar dal ramo di Singollo il re, incotrasse quella degli Edain discendenti di Hador, e da esso la mia gente proviene, senza dubbio alcuno. Grande il sacrificio che i Figli Maggiori affrontano per un simile avvenimento, ma è comparabile con il rimpianto eterno per non aver colto l'occasione, anche fosse minimo il seme dell'amore che attecchisce?" Wotangar si fermò, e scrutò Rodelleth, divorata dal dubbio. "Ovunque tu vorrai andremo, chiunque tu deciderai di preservare ed aiutare verrà soccorso, ed eterna maledizione a chi oserà sfiorarti, possa dunque il mio pugno farlo perire nel peggior dolore che può un uomo provocare. Tu conosci il mio popolo, e ne sai pregi e difetti, se dunque tu a prova mi vorrai sottoporre, nulla rifuterò, fosse anche annientare Barad-Dur, per quanto il mio corpo sopporterà, la porterò a compimento"

Lungo fu il silenzio che seguì, quan'ecco che Rodelleth riacquistò tranquillità in volto e nuovamente parlò: "Nessuna assurda prova potrà valer più di ciò che già hai dimostrato. Inappuntabile il tuo coraggio e chiara la tua volontà. Ma le vicende passate ad altre genti appartengono e tranne taluni, noi non possiamo dichiararci tali. Oggi ti benedico, Wotangar Warbringer, Figlio di Wotanhelm, Rohir di grande onore, tra gli elfi e tra le tue genti, poichè hai fuggito la codardia e nuovamente ti sei ricoperto di gloria grazie al coraggio che a rivolgermi parola ti ha condotto. Ma tuttavia alla tua richiesta non posso acconsentire, poichè il tempo non me lo permette e troppo distanti sono i nostri rampolli per congiungersi." Ella lo guardò con una tenerezza mai espressa, ma egli non accettò quanto gli venne detto e il dolore veloce montò in lui. "Innegabili le tue parole, ma quanta sofferenza queste portano. Possano piangere i padri della mia casata, poichè l'umiliazione subita oggi da loro figlio, non ha eguali, ed un velo di vergona mi ricopra in quanto degno non sono della gloria dei tempi. Che sia maledetto il giorno in cui misi piede a Bosco Atro, poichè null'altro che sofferenza quel gesto mi portò!"

Rodelleth nulla disse, resasi conto che qualunque altra parola avrebbe ferito il Rohir in modo irreparabile, già la sua sincerità manifesta fu, null'altro doveva venir aggiunto. Wotangar si alzò e andò via, un altro tributo dei suoi natali dovette pagare: la fragilità degli Uomini. Nella crescente ira e nel cocente dolore si lasciò andare accanto ad un albero fuori l'accampamento, e lì pianse amaro, prima fu quella sconfitta in vita sua, ed in essa provò pietà per sè stesso. Il consiglio del cavaliere si dimostrò pessimo, mai avrebbe dovuto affrontare Rodelleth, mai. "Perchè questo!? Di cosa sto versando il fio!?" Urlò al cielo, ma nessuno gli diede risposta.

Wotangar si perse nell'umiliazione e nel dolore di quel rifiuto, l'orgoglio non potè proteggerlo quella volta, anzi, fu questo ad esserne debilitato maggiormente. Quella notte, cupi furono i sogni di Wotangar, caduto al sonno, sotto il brillante firmamento...

"Destati Rohir, giunto è il mattino, e giunto sin qui sono, per portarti nuovi consigli, nella speranza che possano illuminarti il cammino" Wotangar aprì gli occhi: poco distante da lui, seduto su d'una grossa pietra, era il viandante incontrato il giorno prima, che fumando lentamente dalla sua pipa, lo guardava un poco spazientito. In un impeto d'ira, dovuto al rimembrare della notte, Wotangar si erse, minaccioso come un lupo: "Tu! Vattene da me! Bastò già uno dei tuoi consigli, perchè io potessi venir umiliato come mai prima d'ora. Dunque ora fuori dalla mia vista, o la poca pazienza che mi è rimasta se ne andrà del tutto!" Il viandante lo fissò, indisposto. "Calmati e siediti, non giungo per ascoltare la favella di chi più non ricononosce la realtà" Ma Wotangar così non fece, bensì estrasse la spada, e minacciò nuovamente l'uomo che aveva in fronte. "Ti ho ordinato di andartene! E non lo ripeterò ancora!" Il viandante si alzò, brillava per possenza e maestosità, seppur umilmente abbigliato, levò un mano e parlò, in una severità che Wotangar mai ebbe udito: "Taci, Uomo del Mark!" La spada cadde dalle mani del Rohir, e questi crollò in ginocchio, mosso da una forza superiore di gran lunga alla sua. "Nuovamente vedi nemici dove questi non sono. Con tono di comando parli a me, non avendone l'autorità. Fin troppo ho subito i tuoi oltraggi, ma ciononostante, la mia pazienza è più duratura d'un' Era, quindi per l'ultima volta ti darò la possibilità di udire il mio verbo" Wotangar silente, venne liberato dal cappio, e malvolentieri si mise a sedere. Riprese allora il viandante: "Mai conoscesti sconfitta, ed un guerriero non è tale senza di essa. Questa notte l'hai finalmente incontrata, e ciò ti plasmerà, per il completamento del tuo spirito. Tu parli d'umiliazione, ma con poca ragione. Rodelleth, nella sua nobiltà d'animo, non ha gettato discredito su di te, anzi, s'è dimostrata benevola quando più poteva mortalmente ferirti; nella sconfitta, hai ricevuto elogio, non scherno. Hai forse perso la battaglia dentro di te, ma con tutti gli onori del valoroso" Il Rohir, preso dalla frustrazione, non aveva riflettuto su questo punto, e ciò in parte lo rinfrancò. "Oramai nemmen più mi sorprendo...tutto conosci e per tutto hai giusta parola. Rivelami il tuo nome, perchè debbo sapere chi mi sta guidando" Disse Wotangar, esortando il viandante. "Non ne ho ancora facoltà, cavaliere. Ma per ovviare a ciò, porto a te un dono, Tauron è il suo nome e possa mostrare al Nemico quale furia sta per abbattersi su di lui, prima che la tua lama lo annichilisca" Concluse questi, estraendo uno stupendo corno, bianco come il principe dei Mearas, sapientemente rifinito in oro, e recante a termine una scintillante aureola in Mithril. Wotangar rimase sbalordito, e non seppe proferir parola, continuando a fissare la bellezza di quell'oggetto. "Ora, prima di avere questo, consegnami il tuo corno, Rohir" Chiese il viandante. Ma il cavaliere tentennò: "Vedi, questo corno è l'unico ricordo delle mie terre, e difficilmente può essere ceduto" Confessò, carico di rammarico. Ma il viandante, presoglielo dalle mani, lo tranquillizzò: "Anche a ciò ho pensato, e la tua terra con te per sempre rimarrà" Estrasse dunque il fiero emblema del Mark incastonato nel corno di Wotangar e lo ripose in un alloggiamento del brillante dono, che pareva per questo esser stato scavato. Perfetto dunque pareva ora, quel corno da guerra, nella sua infinita bellezza e possenza, con il bianco cavallo di Rohan troneggiante su di esso. Wotangar accettò il dono, e chinò il capo, ma non trovò parole di ringraziamento che fossero adatte a quell'oggetto, così stette in silenzio, finchè il viandante nuovamente parlò: "Che questo corno tuoni come l'uno d'Helm nel Trombatorrione, ed al medesimo modo porti terrore e sconforto nel cuore nemico, quando all'orecchio gli giunga il suo maestoso ruggito" Wotangar quasi commosso, rimase ammaliato da quelle parole. "Nuovamente ci incontreremo, Wotangar figlio di Wotanhelm, ed ora và! Corri verso il tuo destino!" Si congedò dunque il viandante, addentrandosi nella boscaglia, ed il Rohir più non lo seguì.

Wotangar camminò sino ad Ost Galadh, perso ancora nella magnificenza del dono che gli era stato fatto, ma subbuglio si levò dall'accampamento, funeste notizie erano in arrivo...

Wotangar s'imbattè presto nel comandante degli elfi, intento a radunarne un drappello. "Rohir! Felice il mio cuore nel riaverti qui, ma tristi nuove giungono da sud. Una pattuglia dei nostri, è stata catturata nei pressi del forte di Taur Morvith, ove gli orchi comandano. Uno solo è riuscito a fuggire dall'imboscata, e sino a qui è giunto stremato per comunicare la loro sventura" Detto questo, l'elfo prese da parte Wotangar, e gli parlò in modo che nessuno potesse sentire: "Un paio sono morti per permettere agli altri di fuggire, ma quattro sono stati fatti prigionieri, e fra loro v'è Rodelleth" Wotangar s'incupì, scuro come la tenebra si fece il suo volto, di luce maligna ne lamparono gli occhi. Ma l'elfo, vistolo cambiare atteggiamento, subito lo ammonì. "Neppur me lo dovrai chiedere, andrai anche tu in soccorso dei nostri. Ma attento, Uomo! Non credere non mi sia avveduto di ciò che muove il tuo cuore. Non questo dovrà guidare le tue membra, lascia alla ragione questo compito" Wotangar tacque, solo annuì.

Una decina di elfi furono radunati con il cavaliere, e subito partirono, a piedi, nella boscaglia. Per ore camminarono verso sud, nel silenzio più totale e nella tenebra del bosco. Wotangar si fece impaziente, nel tentativo di tener la rabbia sotto controllo, e vi riuscì per un certo tempo. La squadrà deviò verso est, per arrivare al cancello orientale del fortino, quando, ancora nascosti dalle frasche, iniziarono ad udire un gran vociare, sicchè ivi rimasero appostati. In uno spiazzo poco distante, non molto lontano dall'avamposto nemico, ebbe luogo un'inatteso incontro: una grossa scorta di orchi, recante quattro individui incatenati, si presentò in fronte ad un piccolo gruppo di uomini, stranamente abbigliati; fu uno di questi a prender parola per primo: "Ebbene, congratulazioni! Ed io che vi ho sempre creduti una massa di bestie buone a nulla!" Alcuni orchi grugnirono e brontolarono. "Che avete da ridire, bestie schifose?" Tutti s'ammutolirono. "Così va bene. Ciononostante, il signore di Dol Guldur sarà estremamente felice del vostro operato, e vi premierà senza dubbio. A lungo avremo da discutere con questi quattro...nelle segrete s'intende" Concluse, esplodendo in una fragorosa risata. Indistiguinbili erano i volti dei prigionieri, sporchi di fango, stremati e senza speranza. Wotangar s'accese, il fuoco che sotto controllo aveva tenuto, iniziò ad avvampare. "Lasciatemi gli uomini, a voi gli orchi" Disse agli elfi, che sorridendo, acconsentirono. Al segnale del Rohir, iniziò l'imboscata. Moltre freccie gli elfi scoccarono contro gli orchi, e altrettanti di questi caddero, fino a che non furono individuati, dando vita ad una spietata lotta di spada. Ma Wotangar in disparte, attese l'avvicinarsi degli emissari di Dol Guldur, e si lanciò, in micidiale carica appiedata. In quel momento, fu muro di carne e acciaio ad abbattersi con innata ferocia sui cinque malcapitati, scaraventadone due al suolo, spezzati come rami secchi. I restanti tre, si diedero da fare per contenere l'Uomo, ma non vi riuscirono: questi menava rabbiosi fendenti, che un avversario decapitarono, ed un altro squartarono. L'ultimo, evidentemente uno stregone, adoperò sin l'oscura magia di Mordor, tentando di indurre in terrore il cavaliere, ma troppa era l'arcana forza degli Uomini del Nord, sicchè l'artifizio non ebbe effetto, così, ad un'altro espediente magico ricorse, riuscendo a disarmare il nostro, ma quest'ultimo non se ne fece scrupolo, ed a nude mani si avventò sul nemico, sentendone le vertebre del collo sbriciolarsi sotto la sua mortale stretta.

Terminata momentaneamente l'opera di morte, Wotangar corse dai prigionieri, e rapidamente sciolse le catene che li costringevano, ordinando loro di fuggire nella boscaglia, questi quindi, ringraziandolo più volte, arrancarono stancamente verso le frasche, quando un'orco, s'avvide di ciò che stava avvenendo e scagliò un giavellotto verso di loro, colpendo uno di essi all'addome. Da voce femminile provenne un rantolio di dolore: Rodelleth giaceva immobile a terra. Anche il cuore più razionale non avrebbe resistito oltre, e quello di Wotangar non fece diversamente. Due cascate in lui si aprirono, una all'interno, d'odio impetuoso, ed una al di fuori, di violenta rabbia furente. Raccolse lentamente la spada, ed estrasse Tauron, dentro vi soffiò, mosso dal più cupo sentimento; terribile fu il suono che ne provenne, maestoso ma crudele, severo ma sferzante, i nemici ne furono atterriti e si fermarono dal battagliare, terrore di morte li colse. Sicuramente il suono era giunto nella sua brutalità sino al forte degli orchi, ma questo all'Uomo non importava, più nulla da lì l'avrebbe smosso finchè la sua vendetta non si sarebbe compiuta. Wotangar parlò, con voce ringhiante, del dolore la pazzia ne aveva afferrato il cuore. "Più non v'è speranza. Elfi! Andatevene! Con voi recate il corpo di chi mi catturò l'anima!" Poi volse il suo fiammeggiante sguardo agli orchi e sorrise, nella più insana follia: "Nessuno se ne andrà vivo! Soffocherete tutti nel vostro sangue! Tutti!" Urlò, gettandosi nella mischia, e facendo a pezzi che osava pararglisi in fronte. Gli elfi mai se ne andarono, l'orgoglio forte si fece in loro, se un Uomo ivi fosse caduto, loro l'avrebbero seguito. La carneficina terminò, nessun orco fuggì, tutti giacevano smembrati al suolo.

"Presto, prima che arrivino i rinforzi" Comandò un elfo. Wotangar prese sulle spalle il corpo di Rodelleth, e consumatasi furia e sete di sangue, scoppiò in un pianto rabbioso, di cui a stento ne trattenne i singhiozzi.

Stancamente, il drappello, si avviò verso Ost Galadh, nella commozione e nel rammarico...

Le braccia gli dolevano, di nero sangue illordate, le gambe rigide riuscivano a malapena a sollevarlo, Wotangar, scuro e avvilito come mai prima d'ora, entrava nuovamente ad Ost Galadh.

"Rodelleth! No, per la grazia dei Valar!" Vociarono gli elfi, all'ingresso del drappello. I liberati vennero soccorsi, e portati in camere perchè fossero medicati e rifocillati, mentre il Rohir adagiò il corpo dell'elfa su d'un letto di fortuna. Wotangar si gettò a terra, e ivi rimase seduto a fissare il meraviglioso volto dell'amata. Si fece avanti il comandante degli elfi, con la sua scorta, e ricevette dagli altri componenti della squadra un dettagliato rapporto dei fatti. In seguito si avvicinò all'Uomo e gli sussurrò: "Dopo avremo tempo per parlare dell'avvenuto, ma ora un messo vuole vederti, pare giunga dall'accampamento fuori Dol Guldur, e chiede di parlare solo ed esculsivamente con te; lascia che ti accompagni da lui" Wotangar, a fatica ed irritato, si alzò, e fu condotto dall'araldo.

"Siete voi, Wotangar Warbringer di Rohan, Custode della Fiamma di Anor?" Chiese squillante questi. "Si, vedete forse altri Rohirrim nei dintorni?" Ringhiò stizzito il nostro. "Il Gran Maestro Thorombar vi manda a chiamare. Fin troppo vi siete attardato in queste zone, ed è ora che raggiungiate i vostri compagni a Dol Guldur. Questi sono gli ordini." A queste parole, Wotangar bruciò come le cime di Thangorodrim. "Attardato?! Ordini?! Che tu possa essere squartato! Muoviti e va' a dire loro che non sono qui nel vezzeggio delle feste, prima che siano le mie mani e spedirtici!" Esplose l'Uomo, iroso ed indisposto. "Non sono queste le parole con cui rivolgersi ad un messo, per di più recante gli avvisi d'un tuo superiore" Lo fermò il comandante elfico. "Io decido i modi e le parole, nessun diritto avete voi di intromettervi" Detto questo, Wotangar prese il ciondolo sotto la corazza, portante lo stemma dei Custodi della Fiamma di Anor, e lo gettò a terra. "Portate questo a Thorombar, più non v'è speranza" Si congedò il Rohir, tornando alla sua veglia. Ma ancora a lungo gli elfi intrattennero il messo, raccontando in parte ciò che era avvenuto e con quanto valore Wotangar si fosse battuto al loro fianco.

"E' viva! E' viva!" Le grida giunsero in tutto l'accampamento. L'elfo che aveva preso in cura il corpo di Rodelleth potè confermare, per la gioia di tutti coloro che circondavano la lettiga. "Lento il suo cuore, ma ancora batte...purtroppo però le mie cure sono di gran lunga insufficienti per strapparla dal limbo in cui ora si trova..." Aveva constatato l'esperto di erbe del campo.

Wotangar aveva udito tutto, senza muovere palpebra, e per la tensione accumulata o per l'impotenza di quel momento, sferrò un pugno su d'una sorta di tavolo, frantumandolo. Veloce ed imperturbabile si recò dal messo, ancora intrattenuto dagli elfi, e rapidamente scrisse una lettera che subito gli consegnò. Grosso modo così scrisse:

"Fratelli, amici, compagni di innumerevoli battaglie, tanto forte ora è il mio bisogno quanto il braccio che a lungo ha retto lo scudo in vostra guardia. Yashin, il cui sangue appartiene ai Figli di Eorl tanto quanto il mio, Olivic, per la cui nobiltà d'animo è distinto fra le genti di Thorin, vi chiedo umilmente aiuto. Tante volte curaste le nostre ferite in guerra, che le vostre conoscienze l'apice raggiunsero, e solo voi potete portare la vita dove questa sta sfuggendo. Sono disposto a tutto pur di salvare questa persona, che il cuore mi rubò e per due volte m'infranse, a tesori, onori e persino alla mia stessa vita mia sono disposto a rinunciare per la salvezza della sua. Raggiungetemi ad Ost Galadh il prima possibile. In nome dell'amicizia che ci lega, in nome della fratellanza d'armi che ci stringe, venitemi in soccorso prima che sia troppo tardi. Che possiate essere benedetti.

Wotangar Warbringer, Rohir d'onore, a voi eternamente debitore."

"Che questo messaggio possa giungere con tutta la velocità consentita dal tuo cavallo, o che la mia maledizione si abbatta su di te e sulla tua progenie." Ordinò l'Uomo al messo; questi montò velocemente sulla cavalcatura, quando Wotangar sussurò qualcosa nella sua lingua natia all'animale e quest'ultimo s'impennò nitrendo, balzando rapido come il vento del Nord alla volta di Dol Guldur.

"Che Eorl ci sorregga" Sospirò il Rohir, ritornando alla sua veglia...

"Che cos'è il coraggio, senza nessuno per cui combattere...cos'è la gloria, senza il giusto scopo...cos'è leggenda, se non la si può narrare ai propri figli...cos'è il valore, se nulla si ha da perdere...solo la solitudine e la pazzia rimangono" Questi i pensieri di Wotangar durante i lunghi giorni di veglia sul corpo di Rodelleth. Nuova luce gli illuminò il volto, non certo la salubre luce della razionalità, ma quella della follia; l'ira, lo sconforto, la rassegnazione lo mossero in quel frangente, d'altro canto, la fragilità degli uomini può rivelarsi micidiale, e in un certo senso fuori dagli schemi se vista con gli occhi di un elfo, per esempio.

Wotangar uscì da Ost Galadh, dopo cinque giorni di silenzio e digiuno, camminando sino al luogo dell'ultimo incontro col viandante, da cui solo poteva pretendere risposte. "Vieni fuori! Che tu possa essere maledetto se non lo fai!" Gridò l'Uomo. "Ti aspettavo. E mi aspettavo anche questo tuo stato d'animo, dunque parla Wotangar" Il viandante fece capolino dalla radura, e si appoggiò contro un albero.

"Perchè non l'hai salvata? Perchè non hai diretto quella lancia contro altri?" Il cavaliere Iniziò così il loro dialogo. "Non è in mio potere, è il fato a decidere, dovresti saperlo bene, giacchè hai capito più di ciò che mi vuoi far credere, nevvero Wotangar?" "Oh certo che ho capito...siete forti e potenti più di chiunque altro, ma quando è un piccolo favore quello che vi si chiede, vi dite impossibilitati...quanto siete vigliacchi..." Gli occhi del viandante si caricarono d'ira, ma non ebbe il tempo di parlare, poichè furono quelli di Wotangar a prendere il sopravvento, emanando furiosi fulmini. "Immaginavo però una tale risposta...è una vita che volete...ebbene, prendi la mia! Prendila ora! Perchè ben volentieri la cederò, non è il coraggio che mi manca!" Urlò assennato Wotangar, ed estrasse la spada, conficcandola al suolo, pronto a tutto. Il viandante non si mosse e non parlò. "Così stanno le cose? Non vuoi prenderla? Ed allora ti costringerò" Un cavallo imbizzarrito a briglia sciolta sarebbe stato più riflessivo. Wotangar si lanciò con quanta forza aveva, sferrando un poderoso pugno, il cui guanto corazzato a lungo penetrò la corteccia dell'albero. Ma il viandante si era tranquillamente spostato, eludendo l'attacco. "Non cercare questo, poichè mai ti attaccherei. Se solo non conoscessi la tua stirpe, ti avrei già punito con la morte per la tua impudenza" Wotangar, colto nella più totale impotenza, si lasciò cadere in un'altro rabbioso pianto, e tra i singhiozzi, che questa volta non potè trattenere, disse: "Non mandatela dove non posso difenderla...ve ne prego..." Il viandante, un poco impietosito, riprese parola. "Valenti compagni sono al tuo fianco, ancora c'è speranza. Grande è il vostro destino, e non per puro caso il fato vi ha voluti insieme, il vostro trionfo non avrà pari, se giustizia e valore saranno il vostro movente. Fuggi la vendetta, questa è pessima consigliera, ira e furia non ti basteranno"

Wotangar smise di piangere, la speranza bruciò forte dentro di lui, orgoglio e consapevolezza si imposero: era un Rohir, e fino alla fine avrebbe combattuto, ai deboli la commiserazione, a lui la gloria. "In piedi, Uomo del Mark! Serra i pugni! Che l'acciaio ed il coraggio siano le tue difese! Come già una volta ti venne detto" Il cavaliere sorrise, rimembrò la gioia di quella battaglia e di quella carica. "Quanto sono stolto a stupirmi ancora" E detto questo abbracciò il viandante, che mai se lo sarebbe aspettato. Questi, poco abituato alla gestualità degli Uomini, con un po' di imbarazzo, gli diede una pacca sulla schiena.

Il Rohir si mise a correre verso l'accampamento, ma prima di entrarvi, si volse ancora verso il viandante, e serenamente gli disse: "Grazie, eroe" Quest'ultimo, da sotto la maschera in tessuto, sorrise ed annuì.

Chiarezza s'era fatta nella mente di Wotangar, tornato sicuro e limpido alla sua veglia...

XXXXXX "Fratelli, amici, compagni di innumerevoli battaglie, tanto forte ora è il mio bisogno quanto il braccio che a lungo ha retto lo scudo in vostra guardia. Yashin, il cui sangue appartiene ai Figli di Eorl tanto quanto il mio, Olivic, per la cui nobiltà d'animo è distinto fra le genti di Thorin, vi chiedo umilmente aiuto. Tante volte curaste le nostre ferite in guerra, che le vostre conoscienze l'apice raggiunsero, e solo voi potete portare la vita dove questa sta sfuggendo. Sono disposto a tutto pur di salvare questa persona, che il cuore mi rubò e per due volte m'infranse, a tesori, onori e persino alla mia stessa vita mia sono disposto a rinunciare per la salvezza della sua. Raggiungetemi ad Ost Galadh il prima possibile. In nome dell'amicizia che ci lega, in nome della fratellanza d'armi che ci stringe, venitemi in soccorso prima che sia troppo tardi. Che possiate essere benedetti.

Wotangar Warbringer, Rohir d'onore, a voi eternamente debitore."

Aveva la lettera fra le mani mentre guardava l'elfo che gliela aveva appena consegnata.

"La situazione deve essere disperata, per fare uscire di senno Wotangar. Cosa spera che io possa fare con una cetra o un flauto contro le ferite inferte da un'arma di orchi o dalla magia ?". Aveva l'espressione stupita e un po' ferita di chi si sente responsabile, ma inutile. L'elfo rimase imperturbabile in attesa. Yashin era assorto e solo dopo lunghi minuti si rese conto che l'altro attendeva una risposta da portare indietro a Ost Galadh. Yashin riflettè e fece scorrere lo sguardo intorno, come se le cavità di Moria potessero dargli un suggerimento prezioso. Alla fine si illuminò: "Ma certo! Quanto vi ci vorrà per portare indietro il messaggio?". L'elfo rispose "Un giorno e una notte. A Dol Guldur mi hanno detto che vi avrei trovato qui, altrimenti sarei arrivato prima. Mirkwood centrale è sicura ormai e a Lothlorien troverò un cambio per scambiare questa" guardò il caprone che teneva per la cavezza "con un cavallo veloce. Domani a quest'ora sarò a Ost Galadh". Yashin annuì pensieroso: "Dite a Wotangar che mi servono tre giorni per portargli aiuto. Ditegli di dare alla persona ferita queste..." prese da una delle tasche sulla sua cintura un sacchetto di cuoio chiuso da un laccetto nero in cima e lo porse all'elfo "ditegli che aiuterano la persona ferita a resistere. Tre giorni servono ... solo tre giorni. Andate." L'elfo prese il sacchetto senza aggiungere altro, disse semplicemente "Mae Govannen" e con un rapido gesto fluido salì in groppa al caprone lanciandolo al galoppo verso i cunicoli oscuri delle viscere di Moria".

Yashin non si fermò a guardarlo, si voltò e sussurrò "Grazie del suggerimento, Padrone. Per una volta non mi avete lasciato sbagliare da solo". Si diresse verso il nano al recinto. "Un messaggio urgente per Glan Vraig: urgente necessità per i Custodi. Mialee SaelinWaer deve rientrare urgentemente al massimo della velocità a Ost Galadh. Chiedere di Yashin o di Wotangar. Firmato Yashin Dragyon". Il nano scrisse e rispose: "Tre giorni", Yashin annuì e passò al nano la lettera di Wotangar "Aggiungete anche questa". Il nano incluse tutto in un plico e lo passò ad un altro nano già pronto con la sua capra. Il corriere prese la lettera e corse nella direzione opposta a quella da cui era sparito l'elfo. Yashin stavolta lo seguì con lo sguardo sussurrando "Mialee vola... Wotangar ha bisogno di te" XXXXX

"Mio signore Wotangar! Si desti la prego, è urgente!" Un elfo svegliò il nostro, arresosi nottetempo alla stanchezza. "Che accade?" Rispose questi ancora assonnato. "Aspettavate notizie da un messo, nevvero?" "Si, certo! E' dunque giunto?!" Wotangar si alzò da terra, in preda all'eccitazione. "No, mio signore. Solo il suo cavallo è giunto...pare porti lo stemma degli elfici araldi. Ma è senza cavaliere...l'abbiamo trovato poco fuori l'accampamento, ad ovest" Wotangar rimanse perplesso. "Eppure sarebbe dovuto arrivare da oriente...e se recasse messaggi da Lorien? Magari non sono l'ultimo a non essere ancora giunto a Dol Guldur...per tutti i cavalli del Mark...fa' che non sia così..." Riflettè ad alta voce il nostro.

"Non c'è un minuto da perdere, elfo! Emana un avviso di pattugliamento nelle vicinanze, mentre io andrò da solo verso ovest, tanta più sarà la mia rapidità se non in gruppo, tanto meno i sospetti che desterò" L'elfo fece un rapido inchino e se ne andò.

"Sleipnir!" Urlò Wotangar, ed emise un lungo melodioso fischio. Il suo bianco cavallo giunse in un baleno, maestoso e forte come non mai. Veloce il Rohir gli saltò in groppa. "Fulmini saranno i tuoi zoccoli, amico mio! Corri come non hai mai fatto, la vita di Rodelleth può dipendere da noi soli! Verso Occidente!"

Wotangar e Sleipnir si addentrarono nella boscaglia, correndo come se tutta Mordor fosse alle loro calcagna. Sentendo il vento sferzarne forte il volto, Wotangar chiuse gli occhi, e si rivide sulle verdi praterie di Rohan, a cavalcare libero, come nella sua gioventù, ma poco era il tempo per i ricordi, e subito la sua mente venne riportata alla realtà.

I due deviarono verso sud, l'Uomo temeva infatti che gli orchi di Taur Morvith fossero la causa della sparizione del messo, ma stranamente, si sbagliava. Dopo poco meno d'un'ora di marcia, Wotangar si imbattè in quattro figuri, che parlottando, camminavano entro il bosco; un Uomo li capeggiava nel cammino, e altri tre erano dietro di lui, ma quello al centro procedeva a testa china, non pimpante come gli altri. Il Rohir li aggirò e bloccò loro la strada. "Fermi! Chi siete e dove vi state dirigendo?" Disse, una volta mostratosi e calato da cavallo. "Buon giorno a voi, guardia del Bosco Atro! Noi saremmo quattro compagni recanti un dono per alcuni amici...ma quale autorità avete, per porci tali domande? Non mi pare abbiate orecchie a punta, e nemmeno l'esile aspetto elfico, quindi ne deduco non siate di queste parti" Rispose sogghignando uno di loro. Mentre ascoltava, Wotangar li osservò con cura: non parevano Uomini di Mordor, Angmar o Umbar...da dove provenivano? "Diciamo che posso essere considerato un protettore di questi boschi, tanto quanto un elfo, miei cari stranieri...ma sarei poco gentile a non presentarmi, prima di parlamentare riguardo alle vostre intenzioni qui. Wotangar Warbringer di Rohan, innanzi a voi" Tre degli uomini si allarmarono in volto a quel momento, ed uno di essi sussurrò a bassa voce: "Dannazione! Forgoil! Come immaginavo...cosa ci fa qua?" Il fine orecchio di Wotangar captò tutto, e questi, estrasse subito la spada, senza esitare. "Luridi cani del Dunland! Fino a Bosco Atro giungeste per trovare la vostra rovina! Parlate e nessun male vi verrà fatto, vi prenderò come prigionieri senza torcervi un capello" Anche i tre Dunlandiani estrassero mazze e pugnali, prima di rispondere. "Forgoil persino qui! Spero tu non abbia ancora spazzolato la tua bestia, poichè il tuo sangue la sporcherà presto!" Disse uno, ma immediatamente aggiunse l'altro: "Prigionieri? Torcerci un capello? Oh no...saremo noi a torcerti il collo, cosicchè tu non possa più impicciarti negli affari delle nostre genti, come meriterebbero anche le altre teste di paglia" Il quarto figuro, al centro, che non aveva preso parte alla discussione, levò solo il capo, guardando il Rohir con occhi speranzosi. Era lui! Il messo elfico! Wotangar, galvanizzato dalla gioia di averlo trovato e dandosi conferme alle suppozioni, cedette alle provocazioni dei tre Dunlandiani, prima di quanto essi potessero prevedere. Un leone tra gli agnelli. Con un balzo fu su di loro, afferrò la testa del primo, e la schiantò contro un albero, trasformandone il volto in una maschera di sangue, mentre il secondo, vibrò un colpo di mazza al costato del Rohir, e questi, contenutone orgogliosamente il dolore, gli afferrò il braccio, contorcendolo fino all'inverosimile e donandogli più di una dolorosa frattura, infine conficchò la spada nell'addome del suo bersaglio, che ne frattempo si era voltato per assecondare la contorsione dell'arto. Il terzo Dunlandiano, vedendo i suoi compagni fuori gioco, si sentì in trappola, e preso dalla paura, saltò al collo di Wotangar, nel folle tentativo di stritolarlo. Il Rohir si ritrasse dall'assalto, così l'avversario cadde ruzzolando al suolo, e colto in fallo subì il colpo definitivo: in un istante Wotangar fu accanto a lui, e caricato il pugno come fosse un trabucco, glielo scaraventò sul capo, uccidendolo istantaneamente.

Wotangar si prese cura del messo, e veloci come le Eored del Mark, furono ad Ost Galadh. L'elfo nel tragitto gli riferì dell'incontro con Yashin, e dei tre giorni prima del giungere del suo aiuto. Wotangar fu sollevato, ma ancora di più quando ricevette la piccola sacca contenente le parziali cure inviategli dal suo compagno. L'araldo inoltre raccontò come quegli Uomini l'avessero catturato, e avessero intenzione di usarlo come pegno d'alleanza fra loro e Dol Guldur. "Questa è una pessima notizia. Grande è stata la mia fortuna nel trovarti e nello sbaragliare sul nascere questa prima ambasceria...ma temo che ve ne saranno altre. Ora corri subito dal comandante e racconta ciò che mi hai comunicato, cosicchè possa prendere provvedimenti e precauzioni adatte" Commentò Wotangar alle parole del messo. Ma la sua mente ad altro era propensa in quel momento.

Immediatamente fece chiamare l'esperto d'erbe del campo, consegnandogli la piccola sacca contenente il rimedio medicamentoso. Quest'ultimo, aperto il contenitore, gioì: "Erano decenni che non ne vedevo più! Seppur temporaneamente, questo ci fornirà vantaggio sul morbo" E si mise ad intingere la ferita di Rodelleth con la sostanza ricavata. "Che cosa potrà mai essere quella roba?" Chiese curioso il Rohir. "Non mi sembrate uno che abbia molte conoscienze in materia, quindi sarebbe una perdita di tempo spiegarlo...su su, lasciatemi fare il mio lavoro" Rispose un po' rudemente l'elfo, ma Wotangar non vi fece caso, la gioia era troppa, e l'impazienza pure.

Nuovamente si sedette accanto a Rodelleth. "Tre giorni...solo tre giorni...cavalca come mai hai fatto, fratello" Sussurrò il nostro...

Nere le nuvole che si addensarono su Ost Galadh, d'un tratto, all'alba del terzo giorno, una pesante pioggia iniziò a cadere, allagando gran parte del campo. Ben altri ospiti erano attesi, rispetto a coloro che gunsero. Non arrivarono avvertimenti o informazioni al riguardo, ma di fatto, formazioni da battaglia, portanti stendardi di Taur Morvith e Dol Guldur, presero posto fuori il campo, ad oriente; silenziosi erano gli orchi, poichè comandati da malvagi uomini, nell'ombra e senza chiasso erano arrivati, come nello stesso modo avevano eliminato le pattuglie elfiche che avrebbero potuto avvistarli. L'esercito giunto, non era propriamente una così immensa moltitudine, ma senza dubbio numericamente adatto a soppiantare le truppe elfiche.

Il campo sprofondò nel caos. Soldati correvano in tutte le direzioni per prendere gli equipaggiamenti, i comandanti, furiosi, emanavano ordini di posizione, gli esperti di cure intenti a prendere tutte le lettighe disponibili, onde organizzare un ricovero da campo nella parte occidentale, dove tra l'altro, era situata la povera Rodelleth, immobile ed impotente. L'unica persona apperentemente calma, questa volta, era Wotangar. Tenebra furono i suoi pensieri, dopo aver appreso dell'imminente attacco. Egli guardò Rodelleth, e le parlò: "Mia signora, ho giurato di difendervi in qualunque momento, ed ora, seppur la speranza di vittoria sia caduta, non verrò meno alla mia parola. La mia morte, sarà la morte di innumerevoli nemici...nessuno vi toccherà se solo un alito di vita può muovere ancora il mio braccio." Lei non rispose, ed egli si alzò, andando in direzione di Sleipnir. Wotangar gli carezzò il possente collo, e nella lingua del Mark decise di esprimersi; tranne qualche errore di traduzione, questo è quello che disse: "Fratello, siamo giunti al nostro addio. Indescrivibile è l'orgoglio di cui mi hai reso partecipe, permettendomi di cavalcarti, inappuntabile il tuo coraggio nell'avermi accompagnato e servito come il primo dei Mearas. Carico di tristezza ti debbo dire di andare ad occidente. Ritorna domani all'alba, se senti puzza d'orco, come è probabile, fuggi! Torna a Rohan, e corri libero! Che mai nessuno possa imbrigliarti! Addio!" Wotangar prese una sacca dal dorso dell'animale e gli diede una pacca. Sleipnir nitrtì vigoroso e s'impennò nella sua maestosa figura. Palesemente contro voglia, prese la strada ad ovest, lentamente e col capo chino.

Impossibile pensare alla vittoria, sicura la sconfitta e la morte. A questo il nostro pensò e ne fu rincuorato: soverchiati di numero, una caduta eroica e gloriosa lo attendeva, nel massimo del trionfo guerriero, Wotangar gioì. Se la morte l'avesse toccato, Wotangar l'avrebbe attesa al meglio della forma. Estrasse dalla sacca il suo personale elmo da parata. Trovato nelle tombe dei regni dell'Arthedain, riforgiato nelle fucine naniche di Moria, il nero elmo ricopriva interamente il volto del Rohir, un'unico spiraglio orizzontale per gli occhi ed uno verticale per la bocca, nessuna emozione poteva tradire il suo aspetto, folta la chioma che pendeva dalla parte posteriore, composta da due diverse criniere, una nera come la notte dei tempi, ed un'altra dorata come Meduseld, Wotangar lo indossò: un gigante d'acciaio parve, perfetto nella sua figura.

Presto chiamò a sè due elfi, e li pose vicino alla lettiga di Rodelleth. "Ricoprirò io, il vostro compito in battaglia, in cambio starete di guarda qui, e se la situazione dovesse divenire pericolosa, suonate questo" Ordinò, dando loro il suo corno da guerra. "Nulla mi fermerà nell'udirlo, giungerò in un baleno"

In seguito si diresse al comando del campo, dove i preparativi erano pressochè terminati. "Un uomo sta arrivando, pare vogliano intavolare una trattativa" Gli venne comunicato dal comandante degli elfi. Cosicchè attessero per alcuni minuti.

Un uomo, incappucciato e coperto d'una purpurea tonaca, fece il suo ingresso ad Ost Galadh, e subito venne condotto al cospetto dei generali. "Salute elfi!" Disse questi sogghignando. "Sono un umile ambasciatore della grande fortezza di Dol Guldur, e vengo per parlamentare. Avete dunque orecchie da porgermi?" Freddamente e con severità gli venne risposto. "Esponi le tue condizioni, voglio per lo meno sentire quale follia avete in serbo" L'uomo sorrise. "Queste foreste sono piene dei nostri occhi, al contrario dei vostri, i quali, nel venire sin qui, abbiamo spento per sempre. Siamo venuti a conoscenza della vostra rappresaglia vicino a Taur Morvith, e chiediamo un risarcimento" L'espressione del losco figuro si fece seria. "La restituzione dei quattro prigionieri e del Campione di Rohan, causa di molto scompiglio ultimamente...in cambio della salvezza di questo piccolo bastione" Disse, facendo una cenno verso Wotangar, che inutile dirlo, all'udire "Campione di Rohan" s'inorgoglì non poco. Il comandante elfico rispose con parecchia arguzia alla provocazione. "Ebbene, riguardo ai prigionieri, su cui ho potere di comando, rifiuto categoricamente. Ma riguardo al Rohir, voglio che sia lui a decidere" Wotangar sorrise, e come un fulmine nel sereno cielo dell'alba, sguainò la spada, ed infilzò, passando da parte a parte il servo di Mordor. Fatto ciò, prese per il collo il cadavere, lo trascinò sin fuori l'accampamento ad oriente, ed ivi lo gettò di fronte all'armata nemica; inoltre, prese la spada appartenuta al nemico e legata alla cintura del corpo senza vita, la piantò a terra, e vibrando un colpo con la sua, la spezzò in due parti. Gli orchi fissarono attoniti la scena, e lasciarono che la figura dalla nera corazza rientrasse nel campo.

Furibonda, l'armata nemica si scagliò all'assalto, penetrando nel campo. Iniziò una lotta senza quartiere: orchi ovunque, e piccoli drappelli di elfi che coraggiosamente si difendevano, resistendo stoicamente. "Si...è giunta la mia ora, e sarà la più gloriosa...venite a prendere il vostro flagello" Pensò Wotangar prima dell'impatto con gli assaltatori nemici. Il nostro si coprì con il pesante scudo, e subì la carica. Non si mosse d'un soffio, ma sbaragliò il nemico levando lo scudo, dunque iniziò a colpire con quanta foga era possibile, come un toro accerchiato. Solo, nella mischia, la chioma del suo elmo roteava, ed i nemici cadevano intorno alla sua possenza, provocando laghi di sangue, che la battente pioggia trascinava sulla pavimentazione. Il cuore di Wotangar fu afferrato dal più recondito orgoglio, dalla sicurezza di morte e la vanagloria crebbe a dismisura, sicchè intonò un canto, come i Rohirrim sono soliti fare quanto la battaglia tiene saldamente i loro animi nella sua morsa. Cupo ma felice, il canto che il nostro fece risuonare nell'accampamento, sola la sua voce, si distingueva dalle altre nella carneficina, un'impeto di vigore prese possesso dei difensori. La cadenza della tonalità, scandiva i fendenti, i racconti delle nobili gesta dei Signori dei Cavalli s'intracciavano con la realtà della battaglia, donando nuova energia a Wotangar, i cui poderosi colpi avevano creato mucchi di cadaveri, che attorniavano l'invincibile maestosità della sua forma.

Ma il canto s'interruppe. Chiaro e limpido, il suono di Tauron giunse a Wotangar, e questi si fermò dal battagliare, voltandosi verso occidente. Ringhiando e grugnendo al pari d'un Uruk, il Rohir si lanciò in una corsa inaspettata dato il peso del suo equipaggiamento; nulla osò bloccargli la strada, fossero questi orchi od elfi. I due elfi posti alla guardia di Rodelleth intanto, strenuamente combattevano per difenderla dall'assalto dei nemici, ed ecco che quando la pressione iniziò ad essere insostenibile, gli orchi distolsero l'attenzione da loro, presi da un pericolo ben maggiore. Wotangar era arrivato, e ruggendo, aveva preso a fare a pezzi i nemici che lo distanziavano dalla lettiga dell'amata. Giunto poi dagli elfi di guardia, riprense il corno, dicendo: "Ecco come questo va suonato!" Indicibile fu la violenza con cui vi soffiò dentro, ed un brivido scosse la schiena degli orchi: il Campione di Rohan li attendeva. Il Rohir posò a terra lo scudo, per avere più rapidità, e nuovamente iniziò a combattere con la sola spada, la cui lama continuava ad immergersi senza sosta nei corpi dei nemici.

Un nuovo assalto andò a rimpolpare il precedente; nuovi nemici giungevano senza tregua. "E' davvero finita" Pensò il nostro.

Ma ecco si rese conto che i nuovi orchi, non caricavano, bensì fuggivano! La guarnigione di Tangulhad tutta, li schiacciava dalle retrovie! "Amici! Fratelli! Giungeste quando la speranza ci abbandonò!" Gridarono gli elfi. "Abbiamo preferito venire in armata, piuttosto che mandarvi un messo perchè vi comunicasse l'arrivo del nemico!" Risposero gli altri. Wotangar, stremato, vedendo ciò che stava avvenendo, ebbe nuova forza, ed il suo animo bruciò con più vigore: la chioma del suo elmo roteò più furente che mai, mentre terrorizzato, il nemico veniva stritolato dalle due schiere. Infine le linee elfiche s'incontrarono, debellando una volta per tutte l'esercito invasore. "Vittoria! Vittoria!" Vociarono le armate, abbracciandosi e festeggiando.

Ma il Rohir, seppur pervaso dalla felicità del campo, non si lasciò andare in vezzeggi e schiamazzi. Come se nulla fosse avvenuto, si sedette ancora una volta accanto a Rodelleth, togliendosi l'elmo. "In parte, il mio giuramento è mantenuto. Nell'attesa si cela il resto di esso" Il suo sussurro si perse nei canti dei soldati...

Eccole lassù in cima alla collina, le torri di Glan Vraig. La speranza le diede nuove enrgie, incitò i soldati che vicino a lei correvano "Coraggio, le luci di Glan Vraig!!!" disse indicando i bagliori soffusi delle lanterne elfiche, con le labbra increspate da un accenno di sorriso. Dietro di loro si levò un ululato e in un attimo dalla macchia di alberi si lanciarono fuori sei wargs a zanne snudate, ringhiando. Il gruppo di guerrieri non si fermò e continuò a correre verso le luci, con le bestie infernali che guadagnavano velocemente terreno. Poi d'improvviso, Mialee si fermò e lanciò contro di loro una fiasca di liquido scuro, mentre una delle cacciatrici che erano con lei impregnava una freccia di olio infiammabile. Quando la cacciatrice scoccò la freccia, pochi istanti dopo, la punta si incendiò a contatto con l'aria e quando incontrò a mezz'aria la nuvola dei vapori del liquido scuro, eruppe in una nuvola di fuoco. L'odore nauseante del pelo incendiato avvolse la scena. I Wargs si fermarono di fronte all'incendio che si parava loro davanti, due di loro si rotolavano nella sabbia con il dorso in fiamme. Mialee disse solo "Riprendete a correre" e di nuovo il gruppetto riprese la corsa verso Glan Vraig. Dietro di loro i latrati dei Wargs erano più distanti. Il fuoco non serviva a uccidere le bestie, era più una segnalazione per le sentinelle della cittadella, che infatti erano accorse andando loro incontro. I wargs si fermarono e ululando la loro frustrazione tornarono nel buoi della foresta. "Orribili bestiacce" disse uno dei guardiani rallentando il passo. Mialee salutava le sentinelle accorse in loro aiuto "Grazie soldati, intervento provvidenziale". Le rispose un elfo sfregiato in volto "Dovere, Sergente" portandosi il pugno chiuso al petto. A passo tranquillo si diressero verso la cittadella e salirono le scale. "godetevi il meritato riposo" disse Mialee ai soldati che erano con lei "vado dal Tenente a riferire del nostro rientro". Uomini, nani, elfi ed hobbit si misero intorno al fuoco da campo, sfiniti. Alcuni caddero immediatamente addormentati. Mialee andò verso le tende, ma fu fermata in cima alle scale "Sergente" disse una voce profonda a lei ben nota. Si voltò e scattò sull'attenti "Agli ordini tenente" "Il tenente salutò a sua volta mentre camminava verso di lei "una missiva per voi da Moria". Mialee annuì incuriosita e prese il plico che il tenente le porgeva. Lo aprì e lesse velocemente le parole di Yashin, poi le parole di Wotangar. Alzò lo sguardo e chiese sospirando "Signore, urgente convocazione per me a Emyn Lum". il tenente scosse la testa "Il vostro turno di guardia al ponte di Tol Ascarnen di domani sera DEVE essere rispettato". "Tornerò per domani sera tenente, è una promessa". Il tenente sospirò "Vi servirà PiumaRossa, giusto? " "Sissignore" annuì Mialee sicura che il tenente avesse capito. Due ore dopo, nel mezzo della notte, planava sul dorso della grande aquila sul tetto di Ost Galad. Legò il laccio ad un traliccio di legno, salutò la sentinella che passava sul ballatoio e scese velocemente al livello del terreno, seguendo le ripide rampe appoggiate sulla pietra. Si diresse verso il magazzino, dove venivano ricoverati i feriti e chiese lì ad uno dei cerusici se sapeva dove fosse l'uomo di nome Wotangar. L'elfo gli indicò un uomo raggomitolato vicino al giaciglio di un'elfa, pallida ed emaciata in volto. L'uomo dormiva e non si accorse dell'elfa che si avvicinava. Mialee si chinò sull'elfa ferita e con fare esperto esaminò il suo stato, quindi annuì ed estrasse da un vasetto riposto nella cintura alcune sanguisughe, le applicò in corrispondenza di punti ben precisi sul corpo dell'elfa che sembrava individuare toccando con i polpastrelli lungo il collo, le braccia e le gambe. Dopo che ebbe piazzato una trentina di quelle viscide bestiole, si sedette a gambe incrociate al capezzale dell'elfa e prese ad armeggiare con polverine ed erbaggi in prossimità del piccolo fuoco acceso lì vicino. Aveva preparato una mistura liquida alla fine di tutto quel mischiare e girare, prese a versarla a gocce fra le labbra dell'elfa. Mano mano che il liquido scendeva nella gola dell'elfa il suo corpo prese a scottare, facendo letteralmente saltar via le sanguisughe prima dal collo e poi dalle braccia e infine dalle gambe. Mano mano che le sanguisughe si staccavno, Mialee le raccoglieva per rimetterle nel barattolo. Essendo gonfie di sangue occuparono molto di più spazio di quando le aveva estratte. L'elfa prese a tremare per l'alta temperatura raggiunta dal suo corpo, Mialee le toccò la fronte e poi i polsi. La coprì con la leggera coperta in modo che le restasse fuori dalla copertura solo il viso. A quel punto si rilassò e chiuse gli occhi. Erano tre giorni che non dormiva e quella era la sua ultima occasione prima di altri tre giorni nel fortino al ponte. Si addormentò così con le spalle appoggiate ad un sacco e le gambe incrociate. Un paio di ore dopo, l'elfa ferita si mosse. Mialee reagì come se fosse sotto attacco, si alzò con le armi in pugno e faticò a riconoscere il posto dove si trovava. Quando ebbe messo a fuoco la situazione, si rese conto che l'uomo si era alzato e non era più sdraiato lì vicino. Mialee controllò la temperatura dell'elfa, sentì che si era abbassata sensibilmente e a quel punto seppe che era anadato tutto bene. Aveva lasciato la boccetta con il liquido preparato e un biglietto "Per tre giorni, tutte le sere, dieci gocce. Guarirà. A presto, Wotangar". Senza salutare nessuno, si arrampicò di nuovo sul tetto della costruzione e, liberata l'aquila, riprese il volo che già albeggiava. PEnsava "Forse a Glan Vraig troverò modo di dormire qualche altra ora."

Tornato alla lettiga, Wotangar, scorse a fianco di questa, una piccola ampolla con biglietto; lesse: "Per tre giorni, tutte le sere, dieci gocce. Guarirà. A presto, Wotangar". Guardò Rodelleth, che, nell'abbraccio del sole nascente, si destava a fatica, ma con sicurezza.

"Per la gloria di Eorl! Che tu possa essere benetto in eterno, Yashin!" Esclamò con una gioia da lungo tempo non provata. "Certo, un saluto avrebbe potuto porgermelo...ma d'altronde, chissà quali affari lo attendevano...che importa ora" Pensò, leggermente rattristato.

Rodelleth, volse i suoi occhi su quelli del Rohir, splendenti, nell'irraggiungibile vigore della Razza degli Uomini. Wotangar le sedette accanto, prendendole la mano, non più freddamente cadaverica. "Wotangar, figlio di Wotanhelm, a lungo ti ho avvertito dalla oscura prigione in cui fui costretta. La tua presenza mi ha trattenuta dall'andarmene, rassicurandomi nell'oblio, dove la luce viene divorata dall'ombra." Disse, in un lungo sussurro, l'elfa. "Non fui io la cura al tuo male, ma feci quanto possible per ottenerla. Non prenderò il merito della tua guarigione, ad altri ciò è dovuto...ricordati di Yashin di Rohan, se mai lo incontrerai sulla tua strada." S'interuppe, perso nel magnifico volto di Rodelleth. "Mai più la tenebra vi cingerà, se il mio scudo vi sarà al fianco. Mia sola è la colpa se v'avessi perso...mancai di attenzione, o i miei muscoli non furono abbastanza scattanti...non potei impedirlo. Ma molto del loro sangue è stato versato in vostra vendetta, e molto lo sarà ancora...troppo poca è la ferocia dei Rohirrim abbattutasi su di loro."

Rodelleth, sospirò. "Dunque la guerra vi ha intossicato, ora più che mai." "No. Ha semplicemente richiamato al servizio quella parte che ogni Uomo degno di codesto nome possiede." "Così dite, messere? Ebbene voi provate gioia nel massacro del vostro avversario, ma io no. Questi nostri nemici, un tempo furono elfi come noi altri, ed ora, seppur siano stati corrotti nello spirito e nel corpo, mi sento un'assassina ad ucciderne anche solo uno." "Mia dama, non posso appoggiare questa vostra visione delle cose. Un tempo, tutto sarebbe anche potuto essere stato giusto e buono, ma ora non è più così. Chi appoggia e serve l'Oscuro Signore, merita la morte, in ogni sua forma. Non c'è alternativa. Devono perire tutti. Il male da loro causato è irreparabile...la nostra rappresaglia deve essere micidiale, nessuno dovrà sopravvivere."

Rodelleth, nuovamente temporeggiò nel rispondere, e Wotangar capendo la situazione, cercò di tranquillizzarla: "Cercate di comprendermi, non voglio dire che la vostra concezione degli eventi è errata...ammetto però di non poterla condividere. Ma suvvia, non voglio assolutamente che vi rattristiate od arrovelliate su certi dibattiti, in un momento simile dovremmo solo essere festosi e carichi di speranza. Le vittorie sul campo di battaglia, il vostro ritorno dalla tenebra...sono momenti di insperata felicità, e non voglio sprecarli chiaccherando delle ipotetiche nefandezze della nostra condotta." Concluse, appoggiandole una mano sul capo, a carezzare i paglierini capelli. La mano di Rodelleth strinse più forte quella del Rohir. "Vi chiedo messere...non lasciatemi" Sussurrò ella. "Fino a che il mio corpo non venga stroncato" Rispose l'Uomo, battendosi il palmo della mano sulla nera corazza.

Così Wotangar, attese che l'elfa si addormentasse rasserenata. "Hai bisogno di cibo sostanzioso per rimetterti, e certamente questo non mancherà" Disse alla dormiente fanciulla, ed uscì dall'accampamento, arco in spalla...

Ecco che, dopo ore di attesa nella radura, un grosso cervo si parò di fronte a Wotangar, e questi nascosto dalle frasche, tese l'arco. La freccia venne scoccata, e andò a conficcarsi nel collo dell'animale, che crollò con un pesante tonfo. Il Rohir, si avvicinò al corpo della preda per caricarla in spalla, quando una sensazione che dalla sua uscita da Ost Galadh lo tormentava, si fece più forte: qualcuno lo seguiva. Rapido e quasi senza suono alcuno, lo pedinava. "Adesso, tu esci fuori" Sbottò Wotangar. Nessuna risposta giunse. "Come preferisci" Soggiunse.

Si avvicinò dunque ad un albero, ed estratta la spada, la conficcò di taglio nella parte destra del tronco; subito un nero figuro scattò via dalla parte sinistra, ma Wotangar, pronto a questa reazione, lo afferrò per la testa, scaraventadolo al suolo: in un baleno gli fu addosso, immobilizzandolo. Il figuro pareva un Uomo, vestito di scuro cuoio, con una maschera di tessuto, atta a coprirne il volto. "Ecco il mio furbetto! Che cosa credevi di fare? Dammi dunque una buona ragione per non ucciderti all'istante" Ridacchiò Wotangar. "Maledizione..." Disse sbuffando l'altro. Con un po' di fatica, si liberò un braccio dalla presa del Rohir, e si tolse il cappuccio. "Idiota! Cosa ci fai qua?! Chi ti ha detto di venire in questi luoghi?! Quale bizzarria ti è mai saltata in quella testaccia?!" Gridò Wotangar, paonazzo in volto. "Una stretta di mano sarebbe stata più che sufficiente" Borbottò l'Uomo a terra. Questi non era altro che Wotangore, cugino primo di Wotangar, con la quale aveva condiviso la giovinezza. Quando Wotangar ebbe finito di scaricare una sequela di insulti, degni del più lurido orco di Lugburz, sul cugino, questi si sedette ed iniziò a raccontare i motivi della sua partenza, o fuga, da Rohan, narrando le avventure vissute nell'Eriador. "Insomma, non sei il solo in famiglia ad aver compiuto certi gesti...ovvio la tua platealità è ineguagliabile, e persino fastidiosa, ma d'altronde ognuno ha il suo modo di fare...preferisco essere più silenzioso" Concluse Wotangore. "Sono cose che non ti riguardano. D'altronde ti ho sempre detto che questo modo che hai di affrontare le cose...da ladruncolo, scassinatore e persino assassino, non mi è mai piaciuto, noi a Rohan abbiamo diversa tradizione, ma farti entrare qualcosa in testa è impossibile, quindi ti dico: fai come credi, ma guai a te se getterai discredito su di noi, ricordalo bene" Lo schernì Wotangar. "Ah bè, tu non sei un assassino allora? Credi che il risultato sia diverso, se muovi l'attacco in fronte o alle spalle del nemico? No, caro cugino, è sempre lo stesso, lui muore, tu sopravvivi, ma attaccarlo frontalmente è di certo più pericoloso e meno furbo" "Senti ragazzo, smetti di dire idiozie. Avremo modo di parlarne nuovamente. Ora passiamo a cose che riesci a fare piuttosto bene...Wotangore, sei ancora capace di cucinare, come un tempo solevi fare sì bene?" Chiese dubbioso Wotangar. "Oh cugino! Quale lode hai mosso! Certo che sono capace, e senza modestia alcuna ti confesserò che sono molto migliorato, durante i miei viaggi" "Ottimo, è quello che volevo sentire. Ora seguimi" I due si diressero verso Ost Galadh, e nel mentre, Wotangar raccontò al cugino tutte le vicende accadute durante la sua permanenza a Bosco Atro, sino ad arrivare allo stato di salute di Rodelleth, per il quale, oltre alle medicine di Yashin, era necessaria l'arte gastronomica di Wotangore.

Arrivati all'accampamento elfico, Wotangar, presentò il cugino ai soldati, e subito, i due, si misero accanto ad un fuocherello, nei preparativi del pasto di Rodelleth. Wotangore pulì e tagliò saggiamente le carni del cervo, con le quali preparò una succulenta zuppa ricca di erbe e farine di vario tipo, a suo dire, dall'altissimo valore ricostituente. Il guardiano di Rohan, una volta pronto il pasto, andò a svegliare Rodelleth, poichè si preparasse. In un baleno, vicino alla lettiga, giunse il prode cuoco, e nei rumori del pentolame, portò le scodelle, traboccanti della preziosa zuppa. Rodelleth guardò a lungo Wotangore, e con poche domande, apprese tutto di lui, come d'altronde aveva già fatto col cugino; egli si sforzò di essere il più garbato possibile, poichè mal sopportava gli elfi, ma avendo avvertito dalle parole di Wotangar un certo affetto per quella ragazza, si diede un contegno, e riuscì persino ad essere colloquiale, cosa rara per lui. La pietanza riscosse inoltre un successo enorme, in quanto Wotangar quasi si commosse nel consumarla e Rodelleth, seppur memore delle squisitezze elfiche, si complimentò svariate volte per la qualità della zuppa; Wotangore non si fece scrupoli di modestia, e narrò con sommo piacere di come la cucinò per la prima volta, nelle vicinanze di Gran Burrone, per alcuni elfi provenienti dall'Agrifogliere.

Terminato il lauto pasto, i due Rohirrim si lasciarono andare ai ricordi, e Rodelleth fu ben lieta di udire le storie sulla loro gioventù, furono infatti molte le sue domande, poichè da moltissimi anni non si recava nel Mark, e nutriva una certa curiosità a proposito delle vincende nelle quali era coinvolto.

Il sole calò, ed assunta la medicina, Rodelleth si addormentò dolcemente, persa nei discorsi di quegli Uomini, tanto lontani da lei, ma così capaci di catturare la sua attenzione, ad ogni loro minimo gesto o parola...

"Sei sicuro di ciò che stai facendo? Stai seriamente pensando di abbandonare i tuoi compagni, per questa femmina?" "Non lo so cugino...non lo so...da quando la disperazione ha fatto spazio alla gioia del vederla viva, troppe domande hanno affollato la mia mente" "Wotangar, cosa direbbe tuo padre? Ci hai riflettuto?" "Direbbe che l'unico conforto in battaglia è rappresentato dal cavallo che ti guida in essa e dal compagno che combatte al tuo fianco...ma direbbe anche che è lo spirito a muovere le membra, e se lo spirito non è vigoroso ed impavido, misera è la fine che attende le membra; in questo momento il mio spirito attraversa bui sentieri e combatte mostri d'ombra, provenienti da un lontano passato"

Wotangar si appoggiò alla parete di roccia, e chinò il capo, divorato dal dubbio. Wotangore gli mise una mano sulla spalla. "Non ti biasimerò, qualunque sarà la tua scelta. Sei un Uomo libero! E questa libertà ti pone alternative talvolta complesse, fio dei tuoi diritti. Ogni scelta va analizzata con varie domande ed una di queste mi porta a pensare se qui ci sia posto per te. Vuoi davvero combattere a fianco degli elfi? Tu hai giurato di seguire la Fiamma di Anor, ma può questo giuramento farti vivere nel rimpianto?" Il losco Rohir sospirò. "Mi viene da sorridere. Proprio te, che un dì avresti preferito affrontare tutta Mordor con una sola Eored di fieri cavalieri, piuttosto che combattere a fianco di altri, ora invece ti struggi e allontani i tuoi pensieri di gloria e vittoria, per una sola elfa. Non so se apostrofarti come coraggioso o stolto." Wotangar alzò la testa, i suoi occhi brillarono come spade illuminate dal chiarore lunare. "Mai pensieri di gloria e vittoria mi hanno abbandonato. E non è necessario che tu mi apostrofi...moccioso" Rispose sorridendo. "Meglio tu vada a letto, tutto quel cucinare ti avrà stancato non poco. Va ora, e tieni le mani a posto, qui i ladruncoli vengono puniti per bene" Wotangore sbuffò triste e si avviò ad un branda nell'accampamento, ciondolando vistosamente.

"Avanti esci, e parla, sono ansioso di ascoltare" Mormorò Wotangar all'oscurità. "Sei confuso, nevvero, Uomo di Rohan? Non posso io riordinare i tuoi pensieri, ma posso avvertirti nuovamente...attento a come muovi i tuoi passi. Tutto ciò dovrebbe essere un incentivo a continuare la tua battaglia, non un cambio di sentiero. Sei nato per questo, non gettare tutto al vento ora che hai trovato pace con te stesso" Il viandante fece capolino dagli alberi, pronunciando parole con l'arguzia della saggezza. Wotangar non si mosse, ma guardò il cielo e le sue fantasie presero forza in lui, come l'aria, che crescendo di intensità, genera vortici di energia. "Rohan, mio buon amico, Rohan. Nelle sue belle valli, dove i più valorosi guerrieri della Terra di Mezzo prendono per la prima volta una spada, imparando l'arte a cui per tutta la vita saranno legati, dove la vita procede tranquilla e dove non ti nascondo, vedomi con lei fra molti anni, con i nostri figli, nella casa dei miei avi, luogo di nascita di alcuni fra i più feroci nemici di Mordor. La nostra progenie crescerà bella e forte, mia sarà la possenza e l'orgoglio, suo l'infinito spirito degli elfi, che per tutta la vita li tratterrà sulla giusta via" Il viandante lo fissò severo. "Tu sogni ad occhi aperti, Wotangar. Sei dimentico forse delle orde di Uruk che tormentano le tue lande?" "No, amico mio, non le ho scordate. Ma evidentemente non ci conosci abbastanza per sapere che finchè scorre sangue nelle nostre vene, le nostre famiglie sono al sicuro. Terribile e funesto il tuono d'acciaio che si schianterà sui loro corpi, lasciandoli in pezzi ai corvi, se dovessero muovere contro i nostri cari...nessuna pietà fino a che i loro crani saranno integri" Ripose minaccioso il Rohir. "Ti nascondi dietro a fantasie. Per troppo tempo sei stato lontano da casa. Tutto ciò già accade quotidianamente, ma non avete le forze per contrastare i loro numeri, e non sarà altro che una straziante agonia se non muoverete guerra a Isengard." Quelle parole portarono il nostro alla realtà, nel modo più brusco possibile. "Ma dunque, ci sarà mai felicità per me, prima ch'io cada in battaglia? I tuoi discorsi mi turbano non poco...sono stanco di tutto questo...se solo non l'avessi mai incontrata!" Ancora una volta il viandante prese parola. "Rodelleth è ben più saggia e razionale di te, saprà il da farsi meglio di chiunque altro. Abbi fiducia nel tuo fato e nella sua volontà. Il mio tempo è giunto...a presto Rohir, e che il tuo sangue ti indichi la via!" Le parole si persero nell'ombra e nel vento del freddo bosco. Wotangar, palesemente di pessimo umore, si avviò a riposare, ancora una volta attendendo il corso degli eventi... "Svegliati, poltrone! E vedi di prendere tutta la tua roba, partiamo alla volta di Dol Guldur fra cinque minuti esatti" "Finalmente ti sei deciso! Anche se rimanere qua a riposare ancora un poco, non sarebbe stata una brutta idea" Rispose sbadigliando Wotangore. "Ho già preso parola con il comandante, i nostri cavalli ci attendono alla porta orientale. Prima che tu lo chieda...no non sono dell'umore per salutarla, ed inoltre sta ancora riposando e non intendo disturbarla. Ma ora muoviti!" Wotangar era stranamente deciso a partire in fretta, qualcosa lo turbava più del solito. I due Rohirrim si trovarono in un baleno all'uscita orientale di Ost Galadh. Accanto a Sleipnir, v'era uno scuro cavallo, vigoroso e carico d'orgoglio, e Wotangar non avendolo mai visto prima, si rivolse al cugino, colto da gran stupore: "Cugino, da quando possiedi un cavallo?! Tu che non li hai mai sopportati!" "Spesso gli elfi ti illuminano vie oscure nella mente, e questa ne è una prova lampante...il suo nome è Nerovento, ed è mio fedele compagno di viaggio da diverso tempo" Concluse Wotangore, compiaciuto di sè. "Elfi? Anche per loro hai mutato pensieri? Capisco perchè ieri sei stato così colloquiale! Fosse avvenuta una cosa del genere qualche anno fa, mai avresti partecipato ad un pasto con degli elfi, e mai l'avresti cucinato per loro!" Esclamò Wotangar, ancora stupito. "Le persone cambiano, cugino, e chi può dire sia questo un pregio od un difetto" Ma l'alto Rohir non prestò orecchio a queste parole, bensì si avvicinò allo scuro animale e nella lingua del Mark gli sussurrò. Il cavallo nitrì sereno, e Wotangar si scostò da lui, porgendogli una carezza sul collo. "E' un animale straordinario. Donagli tutta la fiducia di cui disponi, poichè mai ti tradirà. Sono felice tu abbia trovato un compagno come lui, ritieniti orgoglioso." Sospirò Wotangar guardando il cugino. "La strada è pericolosa, ma seguiremo ugualmente il sentiero. Può rivelarsi poco prudente entrare nella foresta senza una guida, ed io non conosco sufficientemente la parte orientale per tentare" Constatò poi, montando a cavallo. Wotangar indossò l'elmo dalla lunga chioma e si assicurò che lo scudo fosse ben saldo alla schiena, mentre Wotangore, s'incappucciò nella nera maschera e ripose le lame in un fodero sul fianco del suo animale.

Ancora nel buio che precede il mattino, i due presero la strada per Dol Guldur, nere le loro figure, minacciosa la loro presenza, impenetrabili i loro sguardi. "Molto bella quella spada che porti con te, a chi l'hai rubata?" Chiese Wotangar con scherno. "A nessuno. Diciamo che è un dono volontario. E diciamo che proviene da un elfo" Risponse Wotangore, con un minimo d'imbarazzo. Il nostro esplose in una tonante risata, ma non commentò come avrebbe voluto.

Poche erano state le ore di marcia, ed il sole già aveva fatto capolino, infiltrandosi ben poco nella foresta. "Scendi da cavallo, subito. C'è puzza di guai. Fai ciò che sai." Sussurrò Wotangar balzando giù dall'animale ed imbracciando spada e scudo. Wotangore non parlò, ma rapidamente prese le sue lame e scomparì nelle ombre delle frasche. I cavalli si allontanarono sotto ordine dei padroni, fuori dal raggio visivo di qualunque cosa stesse arrivando. Dagli alberi sbucarono cinque orchi, ben più grandi di un Uomo, e ben corazzati. "Allora il mio naso non sbaglia! Sentivo odore d'uomo! Finalmente qualcosa di buono da masticare" Grugnì eccitato uno di loro, mentre gli altri, ridacchiando, impugnarono le armi. "Buona giornata anche a voi! Come posso esservi d'aiuto?" Esclamò Wotangar, fingendo stupore. Gli orchi risero più forte. "Che fortuna quando il pasto è così cortese! Ti cucinerai da solo?" Rispose uno di loro. "Ne dubito, ma credo che i vostri corpi saranno un buon banchetto per i corvi, ammesso che abbiano il coraggio di avvicinarsi alle vostre putride carcasse" Li schernì il Rohir, sorridendo. Le bestie, infastidite e non più serene, si lanciarono contro di lui bofonchiando minacce ed insulti. Wotangar li attese, e quando questi sferrarono il primo fendente, fece un balzo all'indietro, eludendo l'attacco, ed iniziò a deriderli per il loro goffo modo di combattere, facendoli infuriare sempre di più, e continuando ad evitare colpi, ma senza attaccare a sua volta. Tutto si concluse in pochi attimi: uno scintillio di lame, la maschera di Wotangore sgusciata alle spalle dei malcapitati, urla di dolore, una risata isterica. I cinque corpi giacevano sul sentiero, in un lago di sangue. Wotangar diede una pacca sulla spalla del cugino. "Sei ancora lento, ma stai migliorando" Disse ridendo.

Richiamati i cavalli, ricominciarono la cavalcata, scherzando e chiaccherando, come tanti anni prima, sulle praterie del Mark...

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